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In contatto con Baghdad (49)
by robdinz Saturday, Apr. 05, 2003 at 7:33 PM mail: robdinz@hotmail.com

L'assedio.

La sottile linea rossa che divide i cittadini di Baghdad dalle armate anglo-americane passa subito dietro l’università, e come l’ansa di un fiume attraversa l’area del Saddam International Airport fino alle caserme di addestramento della Guardia Repubblicana nell’area sud della capitale.

La voce al telefono mi giunge chiara, asciutta, senza modulazioni che possa interpretare come stato d’animo di paura o di agitazione. Una voce che mi parla di guerra. Una voce dalla guerra.

Mi chiede di diffondere questa notizia: “siamo in sei attualmente a Baghdad, in contatto tra noi. Conosciamo benissimo i rischi che stiamo per affrontare, ma siamo organizzati e consapevoli di come muoverci. I luoghi di riferimento che ci siamo dati sono in ordine: l’hotel “Palestine”, l’ hotel “Sheraton”, gli uffici dell’Ambasciata russa, e la Nunziatura Apostolica.
Tutti luoghi, questi, che siamo in condizione di raggiungere e dove saremo in grado di trovare riparo ed assistenza, qualora non ci trovassimo nelle condizioni minime di sicurezza per affrontare la notte o gli eventi che potranno accadere nei giorni prossimi a Baghdad”.

La città da questa mattina è completamente militarizzata. Migliaia di soldati sono schierati nelle piazze e lungo le strade principali. Cannoni di diverso diametro sono montati su camion, autoblindo e su piccole e agili fuoristrada. Trincee sono state scavate lungo gli argini del Tigri.
Persino sui tetti di molti edifici si possono notare soldati ed armi.
Batterie di missili, montate sui mezzi militari, si muovono lentamente all’interno della città.
Impossibile raggiungere l’università, la si può vedere solo da lontano e solo la parte degli edifici risparmiati dai bombardamenti dei giorni scorsi. Posti di blocco misti, polizia ed esercito, bloccano tutte le strade, anche le lunghe “scorciatoie” spesso usate dai reporters indipendenti per spostarsi senza problemi.
Gruppi di civili, (forse “feddayn”) organizzati in “squadrette” di una cinquantina di persone ciascuna pattugliano su e giù le principali arterie della città e spesso si uniscono ai militari, per poi allontanarsi subito dopo.

In tutta la città manca la luce, anche i piccoli “bazaar” che fino a ieri resistevano aperti sono ora chiusi. Sprangati, coperti di assi di legno e lamiere di ferro inchiodate sulle porte e sulle vetrine.

Due colonne di automobili, furgoni e pick-up sono incolonnate in direzione nord, tentando di raggiungere le grandi autostrade che salgono in direzione di Giordanie e Siria.
Interi nuclei familiari, 6/8 ed anche 10 persone tra uomini, donne, bambini ed anziani si stringono, pigiati gli uni sulgli altri negli abitacoli dei veicoli. Sul tetto, e spesso legato con le corde sopra il cofano posteriore, tutto quanto sono riusciti a portare con loro.
Valige, tappeti, materassi, quadri, piatti e pentole, abiti. Ed anche televisori, videoregistratori, radio e ventilatori.
Su di un pick-up Toyota, sulla cima di una pila di indumenti ed oggetti, una coperta decorata a tinte forti copre una grande gabbia in legno e ferro piena di pappagalli coloratissimi.

Una lunga fila di iracheni muove nella stessa direzione delle auto, ma a piedi, con la schiena curva piegata dal peso di un trasloco innaturale che fa penzolare le braccia in basso ed in avanti come a cercare aria e spazio. Tenuti, trascinati per mano molti, tantissimi bambini stupefatti ed impauriti.
Nessuno di loro sa esattamente dove andare, quale direzione prendere, dove arriverà mai a posare quel carico spaventoso legato con corde e cinghie al proprio corpo.

Alle 19.15 ora italiana, mi riferiscono che neppure un soldato anglo-americano od un mezzo militare dell’esercito d’occupazione è penetrato, e quindi presente, all’interno dell’area urbana di Baghdad.
Sulla battaglia dell’aeroporto di questa notte e di questa mattina si rincorrono voci incontrallabili. Molti cittadini parlano di oltre cento soldati invasori uccisi dalla resistenza irachena nell’area dell’aeroporto. Le notizie che si raccolgono in città sostengono che il Saddam International Airport è tuttora sotto il controllo dell’esercito iracheno.

Nessun corridoio umanitario è stato aperto per soccorerre la popolazione: quella in fuga, con migliaia di persone abbandonate a loro stessi, e la stragrande maggioranza dei cinque milioni di abitanti la capitale chiusi, rannicchiati nelle case, artigianalmente fortificate, a dividersi quanto resta nelle dispense per poter mangiare e bere.
Negli ospedali i ricoverati sono stati concentrati nei piani bassi e e nei sottoscala, privi di medicine e cure sanitarie, alla luce dei lumi ad olio, assistiti solo dagli straordinari medici ed infermiere iracheni.

E’ la seconda notte d’assedio questa che Baghdad è costretta ad affrontare senza che nessun Governo, oppure il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Unione Europea, e neppure il Parlamento Europeo
abbiano alzato un dito, un grido, un allarme, un appello concreto per aiutare la popolazione irachena, per cercare di salvare milioni di uomini donne e bambini intrappolati da un’esercito invasore che ha unilateralmente dichiarato una guerra illegale, ingiusta e crudele.

E con questa frase, colta negli ultimi secondi della comunicazione telefonica prima che si interrompesse, avverto che la voce asciutta e secca che avevo colto pochi minuti prima è come incrinata, mossa da un brivido di sdegno e di orrore. Ma anche di paura. Una paura condivisa e vissuta con i cittadini di Baghdad in questa lunga notte d’assedio.

Che la notte sia leggera.
r.

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