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il tallone di ferro
by Luigi Pintor Thursday, Jun. 15, 2006 at 3:13 PM mail:

editoriale di Luigi Pintor apparso su il manifesto il 9 aprile 2002.

Nulla sarà più come prima. Questa formula consacrata dall’11 settembre si attaglia benissimo alla Palestina. Dopo la guerra di Sharon, che durerà ancora quattro settimane (devono <<finire il lavoro>>, non sarà una scorribanda e neppure una rappresaglia) nulla sarà più come prima in quella terra. Non si tratta delle deportazioni, dei morti, delle sofferenze e dei lutti che semineranno altri lutti. Si tratta del fatto che Israele ha oltrepassato una soglia dalla quale non recederà. Questa verità, che sembra finora un processo alle intenzioni dettato da partigianeria o un pregiudizio <<antisemita>>, è ora palese e proclamata da Sharon con la dovuta solennità: anche dopo la guerra Israele non rientrerà nei suoi confini, non si ritirerà dai territori occupati ma li presiederà stabilmente e li dilaterà in una fascia di sicurezza.
Il <<processo di pace>>, trascinato per vent’anni ma già morto con l’uccisione di Rabin, è ora sepolto ufficialmente e non contempla resurrezione né breve né a medio termine. Non è negato soltanto l’idea di uno stato palestinese ma anche quella di una autonomia e di una autorità palestinese in qualche modo riconosciute. Non è liquidato Arafat ma qualsiasi interlocutore che sia espressione del suo popolo.
La Palestina si riduce a un campo profughi, qualcosa di meno di una colonia. Nel governo della grande Israele entrano a pieno titolo , com un timbro su un atto notarile, il partito dei coloni e la destra fondamentalista.
Ma di parliamo, nelle nostre accademie occidentali? Di che parlano le risoluzione dell’Onu? Di che parla il presidente Bush? Di quel parla quel Powell? Chiedono a un esercito invasore di ritirarsi mentre ridisegna i confini e decide i destini del paese invaso. Sarebbe grottesco se non fosse tragico. Di che parliamo noi, di che parla la sinistra italiana, quando ripetiamo saggiamente due popoli due Stati? Lì c’è un solo Stato e due popoli, l’uno sovrano e l’altro suddito.
L’on. Prodi, che presiede l’Europa, ha detto di temere una tragedia umana smisurata. Ha ragione, ma si ritrae di fronte all’ipotesi di ritorsioni o misure coercitive nei confronti di Israele. Si sa, l’Europa ha la coscienza sporca in questa materia. E anche il Papa, mente brucia la chiesa della natività, deve stare attento a non esporsi all’accusa di antisemitismo oggi in voga: i suoi frati non sono assediati dal comunismo ateo ma dai figli di Israele.
Diciamo la verità: in fondo se la sono voluta, gli straccioni palestinesi. Ognuno di loro che abbia più di dodici anni è un potenziale terrorista e quella di Israele è solo una legittima difesa dagli orrori del terrorismo suicida. Non è cosche pensiamo, non è così che pensate? Ma si, è inutile stabilire chi è l’usurpatore e chi è l’usurpato, è più facile registrare chi è forte e chi è debole e merita quindi di errare senza patria.
Non ci sto. Io non sono ebreo. Noi non siamo ebrei. Ebrei sono quelli che si battono in patria e fuori per la pace e convivenza e quelli che sparano sui civili. E noi preferiamo i primi. Palestinesi sono quelli che da sempre combattono ad armi impari per la propria esistenza e quelli che ricorrono alla strage. E noi preferiamo i primi. Finché la loro causa non prevarrà sarà anche la nostra causa.

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