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In contatto con Baghdad (47)
by robdinz Friday, Apr. 04, 2003 at 6:15 PM mail: robdinz@hotmail.com

Sarà stanotte?

Questo giorno non è come gli altri a Baghdad. La percezione che qualcosa di irreversibile stia per accadere non è solo nell’aria, ma nelle strade, sulle facce degli iracheni. La si può toccare con mano, è visibile.

La linea telefonica, raggiunta libera dopo così tante ore da non sperarci più, mi porta un racconto di una Baghdad alla fine. O, all’inizio di qualcosa che segnerà per sempre la città e la popolazione.

Migliaia di soldati sono ormai ammassati nelle periferie nord e sud della capitale. Per tutta la notte sono ricomparsi i camion scoperti pieni di milizie in divisa che correvano da un lato all’altro del fiume.
Le bombe ed i missili hanno continuato senza sosta a cadere, esplodere, incendiare e distruggere quartieri residenziali, viali alberati, ancora l’università ed ancora un ‘ala del museo nazionale.

Eppure la notte passata, la città era piena di gente che camminava e correva lungo i muri, gli argini dei fiumi, persino sui tetti della città vecchia. La città vecchia e tutta l’area metropolitana di Baghdad sono rimaste al buio, un buio pesto da fa paura.

Chi mi parla sta preparando le sue cose, chiudendo lo zaino e le borse per trasferirsi altrove. Non ci si fida più a restare nei piccoli alberghi, preferiscono concentrarsi il più possibile insieme. Tanto per una questione di sicurezza, quanto per allentare la tensione e la paura che sale fino alla gola.

Al mattino presto, gli uomini in borghese, armati, che spesso pattugliavano durante la notte le strade del centro della capitale sono stati visti equipaggiati con delle maschere anti-gas allacciate in vita. Non tutti le avevano. Ma, mi riferiscono, l’impressione è stata terribile.

La casa dove sono concentrati i miei contatti, non è lontana da Shaab, dove si trovava il mercato dilaniato dai missili americani.
I vetri delle finestre sono stati sostituiti con assi di legno ed ogni cosa che si trovava in qualche modo in bilico è stata posata a terra.
Sotto la casa si trova un grande magazzino pieno di uva passita che sparge tutto intorno un profumo quasi inebriante fin dentro le stanze della casa. Il propprietario è riuscito proprio ieri mattina a far andare via dalla città la sua famiglia, fino alla fattoria del fratello che si trova poco fuori Baghdad. Egli è convinto che lì siano più al sicuro. Ma lui non lascia la casa ed il suo magazzino nel quale faceva seccare e lavorava l’uva per le pasticcerie mischiandola ad altra frutta secca. Preparava macedonie in barattolo e, pur se formalmente proibito, distillava una acquavite meritatamente rinomata.

Di bocca in bocca giungono le notizie della grande battaglia all’aeroporto durata tutta la notte e niente affatto finita. Notizie a volte euforiche, “l’abbiamo rimandati indietro, gli americani”, a volte, il più delle volte “100 morti, anzi 300 per le bombe degli invasori”.
La battaglia dell’aeroporto si è sentita fin dentro la città. Si è sentita e si è vista, con quelle esplosioni che non avvenivano più a terra, ma dieci, quindi ci metri sopra i palazzi e le infrastrutture. Era come se le bombe ed i missili esplodessero emettendo una fortissima luce giallo/verde che illuminava per chilometri tutto quanto era intorno.
Con un rumore, un fragore, un boato esplosivo mai sentito prima da quanto era enormemente forte.

Proprio per il suo lavoro con la frutta, il padrone di casa conservava in dei grandi vasconi di ferro ed in altri di pietra tantissima acqua. Che è servita fino a due giorni fa per cucinare, per bere dopo essere bollita, ed anche per lavarsi. Stamane l’ha indicata ai reportes che sono con lui, gli ha tirato un sapone e degli asciugamani profumati di bucato. Non se lo sono fatti ripetere due volte e l’un con l’altro aiutandosi con un secchio si sono fatti una doccia.

Baghdad appare cone “fortificata”: una trincea, un avamposto
dove trovano posto cinque milioni di cittadini spaventati. Non più impegnati a spazzare dai detriti, dei danni provocati dalle bombe e dai missili, i marciapiedi e gli ingressi delle abitazioni, ma a porre uno su l’altro, uno accanto all’altro, sacchi di sabbia grandi e piccoli come fragili ripari da prima linea contro l’arrivo della guerra fin dentro le case, i vicoli e le grandi strade della capitale. Srotolare metri di nastro adesivo da incrociare sui vetri dei negozi e delle case. I alcuni casi, mi dicono, perfino murare, letterlamente, gli ingressi delle abitazioni dove tantissime famiglie si sono rifugiate come prigioniere delle loro stesse case, con le ultime scorte di cibo e acqua per aspettare questa notte che deve arrivare. Una notte lunghissima.

La casa dove si trovano i reporters, è stata come “spostata”al suo interno, più simile ad un luogo, il più sicuro possibile, di osservazione e di attesa. I letti rovesciati con i materassi a terra incrociati con i cuscini dei divani come a formare un grande letto, come quello che fanno bambini quando giocano o hanno paura.
I tappeti di Fahez, così si chiama il padrone di casa, sovrapposti anch’essi a terra nella stanza più grande, così da poter mangiare ed ascoltare i notiziari della radio seduti o semisdraiati sul “morbido”.
Formaggio di capra, carne di agnello e di pollo cotta in padella, con spezie piccanti e verdure. La dispensa di Fahez era piena, ma ora che la famiglia è “al sicuro” vuol dividerla con quegli stranieri che considera un po’ matti, che ancora sono lì a Baghdad per raccontare una guerra che ora è davvero vicina. Come se non bastasse la guerra delle bombe e dei missili che continuano a squarciare la città.
La guerra è ora proprio vicina. La guerra con il rumore dei cannoni, dei fucili, dei cingoli dei carri armati, con il sangue lungo le strade.La guerra della resistenza dei cittadini e della popolazione contro gli invasori.
Ma la guerra sarà già stanotte? Chiede con insistenza Fahez ai reporters, mentre puliscono le verdure e non sanno davvero cosa rispondergli. Stanotte? Si guardano tra loro e non riescono a trovare neppure le parole per una risposta.


Che la notte sia leggera.
r.

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