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Cuba, l'isola sottovetro
by seltz Sunday, Sep. 03, 2006 at 12:36 PM mail:

Reportage Un diario dall'Havana, verso il dopo Fidel
Cuba, l'isola sottovetro
Con la malattia del leader maximo è peggiorata la solita disinformazione dei grandi media internazionali. Non si raccontano i problemi veri di Cuba e si amplifica la propaganda Usa. Ecco alcune questioni tra quelle più trascurate
Gianni Minà
Per anni in tutte le manifestazioni alle quali partecipavo per esprimere la mia opinione su Cuba e l'America Latina c'era sempre qualcuno che alla fine mi domandava «Che succederà dopo Fidel?». Quasi sempre rispondevo «Nulla, proprio nulla». E a molti , credo, apparivo un cronista fuori dalla cronaca.
Ora i fatti hanno dato una risposta indiscutibile. I delicati giorni d'agosto, che ho vissuto a Cuba, hanno segnalato che, nel bene e nel male, la rivoluzione resta fedele a se stessa. Perché il futuro, nell'isola di Fidel Castro, è già cominciato da tempo.
L'infermità che ha costretto il leader maximo a lasciare, «temporaneamente» o no, tutte le cariche al fratello Raul e a un gruppo di collaboratori responsabili dei settori vitali (salute pubblica, educazione, politica energetica), non ha prodotto infatti nessuna crisi o deriva politica. A Miami, con comparsate remunerate con cinquanta dollari ad ogni esibizione contro la rivoluzione davanti ad una camera televisiva (ma le bandierine nordamericane erano a carico degli stessi figuranti) la più grande e discussa comunità cubana del mondo ha quindi festeggiato il niente, un evento che non ha prodotto l'eversione sperata, ma ha anzi permesso all'odiata rivoluzione di passare direttamente dal ieri al domani mentre Bush e Condoleeza Rice , con le loro dichiarazioni, ribadivano di essere rimasti inguaribilmente prigionieri del passato, di quando c'era la guerra fredda, il muro di Berlino e Castro aveva poco più di trent'anni.
Soldi per cambiare
Stanziare ottanta milioni di dollari in aggiunta ai sessanta già elargiti dal Congresso per favorire (come all'epoca della crisi dei missili) un cambio drastico a Cuba, un'isola dei Caraibi, come Haiti o Santo Domingo (o per capirsi un paese centroamericano come Salvador , Honduras, Nicaragua, Guatemala) è il segno infatti di una ossessione, o meglio di una sconfitta, e anche di un disprezzo del diritto di autodeterminazione dei popoli che non è cambiato nemmeno dopo batoste storiche come quella subita in Vietnam, o figuracce politiche come quella in Somalia denominata Restor Hope, o fallimenti tragici come quelli in corso in Afghanistan e in Iraq. Senza dimenticare il feroce Plan Condor che all'inizio degli anni '70, quelli di Nixon e Kissinger, ha definitivamente tolto ogni autorità morale agli Stati Uniti e la possibilità di parlare di diritti umani.
Un altro destino
L'America Latina attuale che rifiuta l'Alca (il trattato di libero commercio con gli USA) sceglie un altro destino e recupera Cuba nel suo grembo, nella sua prossima associazione di Stati (alla maniera dell'Unione Europea) è la risposta a questa politica sterile e insensata.
Ma la cosiddetta grande informazione, in occasione dell'infermità di Fidel Castro non ha voluto tener conto di questi fatti. Ha scelto di raccontare Cuba non osservandola da dentro, nell'attuale congiuntura, ma come se gli eventi avessero invece preso la piega sognata, per anni, dai duri dell'esilio di Miami, proprio quelli che, anno dopo anno, coperti dalla Cia, hanno praticato il terrorismo a Cuba e perfino dentro gli Stati Uniti come nel caso della trama per assassinare John e Bob Kennedy, o l'ex ministro degli esteri cileno Letellier, o come nel caso dello scandalo Watergate o dell'aereo di linea cubano fatto saltare in aria nel '76 da Luis Posada Carriles e Orlando Bosh, o nel '97 degli attentati (sempre organizzati da Posada Carriles) alle installazioni turistiche dell'isola in uno dei quali è morto il cittadino italiano Fabio Di Celmo.
Insomma, una scelta giornalistica miope e sconcertante dove i servizi dalla Florida, volgari e sgangherati, pur non testimoniando nulla se non lo squallore della situazione, avevano la prevalenza su qualunque analisi seria e credibile sul domani dell'isola dopo Fidel Castro.
Sulla CNN di lingua spagnola o sulle pagine dei quotidiani riprodotti su Internet, capitava quindi di vedere solo cronache sbracate scandite da energumeni che urlavano insulti o capitava di sentire interventi di "esperti" che da Cuba sono lontani da decenni, ma mai la quotidianità del paese in questo momento storico. Un vero contrasto schizofrenico fra quello che i media raccontavano e il solito lento tran tran di una nazione che, dopo anni, ha potuto ridipingere le proprie case, vivere un'estate senza apagones (la rinuncia obbligata per diverse ore all'elettricità) e, con un Pil al 10-11% sperare nuovamente in un rapido palese miglioramento delle condizioni di vita. Dettagli ignorati. Sembrava che qualcuno avesse dettato la linea ideologica ma non ai giornalisti di Granma o Juventud Rebelde , bensì a quelli dei media occidentali che giurano di dividere i fatti dalle opinioni.
Gli intellettuali
Un gruppo d'intellettuali di tutto il mondo, fra cui nove premi Nobel, hanno così sentito l'esigenza di sottoscrivere un appello proposto da un religioso ottantaduenne, Francois Houtart, un prestigioso sociologo cattolico che è stato fra i fondatori del Forum di Porto Alegre. L'appello denunciava l'ipocrisia del governo di Washington che, mentre affermava per bocca del suo presidente e del segretario di stato Condoleeza Rice, il diritto di Cuba a scegliere il proprio destino, annunciava di fatto il futuro assetto politico dell'isola, deciso dalla Casa Bianca con tanto di nome e cognome del funzionario, un tal Caleb Mc Carry, che dovrebbe guidare la transizione all'Avana forte dei milioni di dollari già elargiti dal Congresso e dallo stesso presidente e con i quali il governo USA pensa di instaurare nuovamente, dopo quasi mezzo secolo, la "sua idea" di democrazia a Cuba.
Solo che la democrazia non si compra, si conquista. Ed è per questo che, pur dopo tanti errori commessi e illiberalità denunciate, la Revolucion socialista governa ancora i destini dell'isola più estesa del continente, diciassette anni dopo il tramonto del comunismo nell'est europeo.
Non sappiamo ancora come gli stanziamenti di Bush j. per cambiar volto a Cuba saranno spesi. Se, come nel 2003, in sequestri di aerei civili e del ferryboat di Regla per innescare una strategia della tensione o, come nel '97, per finanziare o favorire azioni terroristiche.
C'è' una parte segreta nel documento Cuba libre di quattrocentocinquanta pagine, reso pubblico due anni fa dal Dipartimento di Stato e al quale ha fatto cenno ancora recentemente il presidente degli Stati Uniti, che non lascia tranquilli.
La realtà in tv
Certo le immagini in tv della gioia dei cubani di Miami per l'infermità di Fidel Castro, che ancora una volta li ha delusi, non sono piaciute nemmeno a coloro che la vita grama del socialismo non la sopportano. E oltretutto restituire come vorrebbe la legge Helms-Burton , ai cittadini nordamericani che furono espropriati dalla rivoluzione, edifici dove ora sono ospitati magari asili, scuole, centri di cultura, sanatori per anziani, non sembra un'idea accettabile neanche a chi dissente. Lo hanno detto a chiare lettere. Ma forse non era glamour pubblicarlo.
Non so quale logica seguano molti dei giornalisti italiani quando vanno a Cuba, che cosa cerchino e come non riescano mai a raccontare quello che succede. La verità che portano in tasca dall'Italia, spesso prevale sulla realtà che si può toccare con mano.
Il giorno dopo il mio arrivo all'Avana in questo agosto controverso, dal Granma (dove in prima pagina c'è una riflessione su Fidel Castro di Ernesto Cardenal, frate trappista e poeta insigne del continente), apprendo che a Casa de Las Americas c'è una conferenza del movimento In difesa dell'umanità . Il movimento, una costola del Forum di Porto Alegre, che ha avuto il suo battesimo a Caracas nel dicembre del 2004 e a ottobre terrà un'altra sessione a Roma nella sede della Fao, ha coinvolto diversi intellettuali latinoamericani.
A Casa de Las Americas sono presenti in molti, specie dell'area religiosa. Da Frei Betto a Francois Houtart a Raul Suarez, pastore protestante e presidente del Consiglio ecumenico di Cuba. E ci sono anche molti della cultura e della politica cubana che potrebbero dar notizie sulla salute di Fidel Castro, argomento che riempie i media in quei giorni. C'è Roberto Fernandez Retamar, poeta e membro del Consiglio di Stato, che presiede l'incontro, c'è Abel Prieto, scrittore e ministro della cultura e Ricardo Alarcón, presidente del Parlamento, l'uomo che si è preso la responsabilità di guidare la battaglia per liberare i cinque cubani ingiustamente incarcerati negli Stati Uniti per aver smascherato il terrorismo che dalla Florida colpiva l'isola. Eppure, al contrario delle agenzie e dei corrispondenti di network spagnoli e latinoamericani, non ci sono giornalisti del nostro paese che pure erano arrivati in frotte all'Avana.
Alarcón, che ha appena risposto per mezz'ora a una radio libera di una comunità nera del Missouri, è quello che più tiene avvinto il pubblico presente nella bella sala del laboratorio culturale più prestigioso del continente. Il giorno prima era stato reso noto che la Corte di Appello di Atlanta allargata, per pressioni politiche, a nove membri aveva revocato la decisione di un panel di tre giudici dello stesso tribunale che proprio il 9 agosto dell'anno scorso "nell'interesse dell'etica e della giustizia" aveva dichiarato nullo il giudizio emesso nel processo di Miami di tre anni prima e aveva revocato le condanne per spionaggio dei cinque agenti dell'intelligence cubana che però, contro ogni giustizia, erano stati fatti rimanere in carcere in cinque luoghi diversi degli Stati Uniti. Allora il giudice Stanley Birch, anche a nome dei suoi colleghi James Oakes e Phyllis Kravitch in una ordinanza di novantatre pagine, aveva definito il caso una "tempesta di pregiudizio" riconoscendo la palese ostilità di una città come Miami verso il regime dell'Avana e quindi l'impossibilità a ospitare un procedimento contro cinque cubani fedeli alla rivoluzione che avevano raccolto le prove dell'attività terroristica di gruppi eversivi di Florida e New Jersey nei riguardi dell'isola.
«Oltretutto - spiega Alarcón - i giudici Birch e Kravitch (Oakes nel frattempo è andato in pensione per motivi di salute) hanno difeso e mantenuto il loro criterio di valutazione nel corso del dibattito con gli altri giudici sopravvenuti tanto che il documento di centoventi pagine emesso dalla Corte d'Appello allargata, registrava sessantotto pagine con il parere della maggioranza rappresentata dal giudice Wilson e cinquantadue invece della minoranza rappresentata dal giudice Birch». Un pasticciaccio giudiziario se si considera che il giudice Wilson è un antico procuratore federale della Florida.
Pagine a pagamento
Una storia che malgrado i libri pubblicati, le pagine comprate sul New York Times da Chomsky, da l'ex ministro della giustizia USA Ramsey Clark e da altre personalità, per far conoscere all'opinione pubblica nordamericana questa storia censurata da molti media, continua a non avere una conclusione onesta.
Il Consiglio dei diritti umani dell'Onu ha reso noto l'anno scorso che "la detenzione dei cinque cubani era illegale e arbitraria fin dal primo giorno" ma nella coscienza di molti giornalisti volati a Cuba per l'infermità di Fidel, l'odissea infinita dei 5, che dura ormai da 8 anni, non ha trovato spazio.
Ricardo Alarcón denuncia questa noncuranza, questa mancanza di etica, dell'informazione occidentale, ma non risparmia anche critiche ai giornalisti cubani che avevano trascurato l'anniversario della sentenza coraggiosa sancita un anno fa dal tribunale d'appello di Atlanta e ora riformata per una chiara influenza politica. «Quella dei cinque compagni che si sono sacrificati per la nostra sicurezza è una storia che dobbiamo sentire ogni giorno sulla pelle», ricorda questo diplomatico raffinato che è stato ambasciatore cubano all'Onu in due occasioni per un totale di 14 anni nei quali è stato anche vicepresidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Rilievo sferzante il suo per una stampa più abituata ad aspettare le notizie che a cercarle. Tutto il mondo è paese.
La messa di Francois nell'isola di Fidel
L'appuntamento alla chiesa di San Agustin è alle sette e mezza. Il vecchio François avrebbe detto messa per festeggiare monsignor Carlos Manuel De Cespades, discendente dal padre della patria cubana e parroco di quella chiesa, che è ritornato dopo una serie di cure in Svizzera per vincere un male subdolo.
François Houtart ottantaduenne sacerdote del clero secolare, per anni docente di sociologia all'università di Lovanio, in Belgio, è stato tra gli ideatori e i fondatori del Forum sociale di Porto Alegre. E' all'Avana invitato con altri intellettuali per la riunione del movimento In difesa dell'umanità che ha avuto, come ho detto in un altro articolo, il suo battesimo a Caracas nel dicembre del 2004 e che a ottobre terrà un'altra sessione a Roma, alla Fao.
Questo religioso, che in gioventù ha insegnato sociologia anche ad Hanoi sotto le bombe dei B52 USA, costringendo la rigida organizzazione ideologica del partito comunista locale a confrontarsi con la dialettica delle scienze sociali, si è sentito offeso per il modo come l'informazione ha trattato a partire dal 31 luglio, l'infermità di Fidel Castro ma più ancora si è indignato per il piano sul futuro di Cuba, deciso disinvoltamente dal Dipartimento di Stato Usa e ribadito nell'occasione da Bush e Condoleeza Rice.
La sovranità di Cuba
Per questo lunedì 5 agosto ha reso pubblico un manifesto intitolato «La sovranità di Cuba deve essere rispettata» che, in pochi giorni, è stato firmato da più di diecimila intellettuali di tutto il mondo fra cui nove premi Nobel. François che ne ha discusso con Raul Suarez pastore protestante, presidente del Consiglio delle chiese ecumeniche di Cuba, ne vuole parlare con Carlos Manuel De Cespades insieme a Frei Betto, presente anch'egli a l'Avana e che era con François quando, dopo la visita di Giovanni Paolo II nel '98, Fidel Castro invitò quattro teologi di fama mondiale per interpretare dal di dentro le sette omelie pronunciate da Papa Wojtyla nell'isola.
L'incontro nella sagrestia di San Agustin è affettuoso. Carlos Manuel che per linea familiare è discendente anche del generale Menocal, detto el majoral, presidente del paese all'inizio del secolo scorso e che definitivamente accettò la tutela del governo di Washington nella vita politica della nazione, ha avuto una gioventù di militanza cattolica avversata dal nuovo regime socialista e perfino l'esperienza di qualche settimana in un campo di lavoro, ma non ha mai confuso fra gli eccessi della Revolucion e l'intollerabile assedio politico economico, a volte terroristico, degli Stati Uniti.
Nel '97, quando era portavoce dell'attuale cardinale dell'Avana, allora arcivescovo, Jaime Ortega y Alamino, commentò con una frase drastica «queste bombe vengono da Miami» l'improvviso proliferare di attentati alle installazioni turistiche dell'isola. Il vescovo della città simbolo della Florida si risentì moltissimo e chiese un intervento al collega de l'Avana che impose al suo portavoce il silenzio fino al termine del viaggio papale del gennaio '98. Ora, dopo la confessione e la condanna di Ernesto Cruz-Leon, autore materiale degli attentati in uno dei quali morì Fabio Di Celmo, sappiamo che mandante di questo terrorismo era la Fondazione cubana americana di Miami con la regia di Luis Posada Carriles, il Bin Laden latinoamericano del quale il governo degli Stati Uniti ancora non ha deciso cosa fare, se estradarlo ad un paese compiacente o sottoporlo finalmente ad un processo.
È un ricordo che più che amareggiare, ancora adesso spaventa.
François Houtart, che ha visitato l'arcivescovo il giorno prima, commenta con un po' di ironia, che l'amico Jaime, «se suavizo» (si è raddolcito) e che finalmente guarda alla rivoluzione senza pregiudizio "coerentemente con lo spirito del vangelo". Non lo sorprende quindi che la chiesa di Roma, sensibilizzata dalla Curia dell'Avana, abbia chiesto proprio in quei giorni di pregare per la salute di Fidel facendo indignare i cattolici reazionari della Florida e dell'America Latina, «tanto vicini al denaro e tanto lontani da Dio». François che, ad appena trentasette anni, nel Concilio Vaticano II, entrò come esperto in una commissione di studio sociale della quale era componente anche l'allora vescovo Karol Wojtyla, confermava la sua franchezza e il prestigio che a Porto Alegre nel 2005 gli fece chiedere in modo esplicito e fuori dagli schemi al presidente Lula le ragioni del ritardo dell'atteso cambiamento sociale che in Brasile dopo due anni dalla sua elezione avanzava ancora a rilento rispetto alle promesse in campagna elettorale.
«Molte cose sono migliorate nel rapporto fra Vaticano e Cuba dopo la visita di Giovanni Paolo II», rileva Carlos Manuel De Cespades e ricorda con affetto che questa evoluzione è cominciata a metà degli anni '80 con l'impegno di Frei Betto, dopo il libro intervista Fidel e la religione per rompere l'incomunicabilità e favorire il dialogo fra la rivoluzione e il clero locale. Dialogo che poi è continuato autonomamente. Per la prima volta la chiesa cubana respinse il blocco economico imposto all'isola dagli Stati Uniti e il governo dell'Avana cancellò l'ateismo dalla propria costituzione per sostituirlo con il concetto di laicismo. Non sorprende quindi che perfino nel 2003 dopo le fucilazioni all'Avana di tre degli undici componenti il gruppo che, armi alla mano, aveva assaltato i turisti del ferryboat della Bahia di Regla tentando di dirottarlo, il cardinale Sodano, segretario di Stato, abbia dichiarato «La chiesa continua ad avere fiducia che il governo de l'Avana sia capace di condurre Cuba ad una computa democrazia.» Una dichiarazione che all'epoca ebbe il merito di imporre una riflessione più profonda sui metodi dell'assedio USA nei confronti di Cuba e sulle conseguenze nefaste che quella politica scorretta poteva avere sul modo di reagire della rivoluzione.
I nuovi seminari
Non sono stati inaugurati nell'isola solo nuovi seminari, luoghi di culto o non sono sorti solo centri di attenzione sociale della chiesa cattolica, come quelli della Comunità di S. Egidio e delle suore Brigidine, sono anche diventati più chiari e frequenti i momenti di incontro fra le varie religioni e la rivoluzione. La chiesa cattolica in particolare ha aumentato la sua presenza nella vita del paese perfino in quel settore sanitario dove Cuba è un esempio per tutto il continente con i suoi trentamila medici presenti in molte delle nazioni socialmente sofferenti nel mondo, da Haiti, all'Angola, al Pakistan. E' su questo terreno che si è sviluppata una intesa fra Vaticano e Cuba che porta Papa Ratzinger a essere, sugli auguri per la salute di Fidel, più generoso di Pietro Ingrao. E ha spinto il collega Cotroneo sul Corriere della Sera a vaneggiare perfino su una presunta "conversione" del leader maximo.
Il libro di Ramonet
L'infermità di Fidel Castro, ha messo inizialmente in crisi i tempi della ristampa del libro Cento ore con Fidel di Ignacio Ramonet, (pubblicato in Spagna col titolo di Fidel Castro: biografia a due voci) e prossimamente in stampa in Francia, Inghilterra, Italia, Germania, Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Brasile, Colombia, Venezuela e perfino in Giappone e Cina. La prima edizione, subito esaurita a Cuba e in Spagna, dove era uscita a maggio, aveva suggerito però a Fidel alcune aggiunte, ampliamenti, precisazioni, che stava apportando sulle bozze quando è stato costretto all'immediato intervento chirurgico per l'ormai famoso papilloma allo stomaco.
Il libro del prestigioso direttore di Le Monde Diplomatique , frutto di vari incontri nel corso di tre anni, segue due decenni dopo, ancora più estesamente, (633 pagine, oltre a una settantina di note e di indice) la traccia del racconto che Castro mi fece per due documentari diventati storici, nell'87 e nel '90, poi trascritti in due pubblicazioni. Il lavoro fatto con Ramonet è una sorta di autobiografia, un bilancio della propria vita pubblica più che privata, sulla soglia degli ottant'anni, quando si possono rischiare anche rivelazioni inedite, giudizi politici fuori da ogni diplomazia, autocritiche, confidenze.
S.Ignazio di Loiola
Ramonet, come feci io allora, nella sua introduzione pur ricordando le aggressioni costanti che Cuba subisce dall'esterno e addirittura citando S.Ignazio di Loiola «in una fortezza assediata ogni dissidenza è considerata tradimento» non fa sconti alla rivoluzione per i trecento prigionieri di opinione che sono nelle sue carceri e per la pena di morte. Con molta onestà intellettuale, il direttore di Le Monde Diplomatique non tralascia di ricordare però che la pena di morte soppressa nella maggior parte dei paesi evoluti è in vigore, oltre che a Cuba, ancora negli Stati Uniti e in Giappone e sottolinea anche come, nei suoi rapporti critici, Amnesty International non segnala a Cuba casi di tortura fisica, di desaparecidos, di assassini politici e di squadroni della morte, di manifestazioni represse con la violenza dalla forza pubblica, al contrario di stati per esempio dello stesso continente latinoamericano, considerati «democratici» come Guatemala, Honduras, Messico; senza dimenticare la Colombia dove «sono assassinati impunemente sindacalisti, oppositori politici, giornalisti, sacerdoti, sindaci, leader della società civile, senza che questi crimini periodici suscitino eccessiva emozione nel mondo dei media internazionali».
E' un approccio onesto, che non giustifica nessuna illiberalità commessa a Cuba ma che impone una riflessione sulla violazione permanente nel mondo, oltre che dei diritti civili, anche dei diritti economici, sociali e culturali, fenomeni sconosciuti nell'isola. La pronta ripresa fisica di Fidel Castro ha però tolto dalle ambasce gli editori della biografia che il leader maximo alla fine non è riuscito a scrivere ma ha fatto in modo di lasciare alla storia.
Pedro Alvarez Tabio, «l'altra memoria di Fidel», da trent'anni rigoroso custode del patrimonio letterario e storico della rivoluzione cubana, già poco dopo ferragosto riceveva due capitoli al giorno corretti di proprio pugno dal comandante convalescente. Così la seconda edizione rispetterà i tempi di pubblicazione previsti. C'è chi giura addirittura che Fidel si materializzerà in un giorno qualunque dall'11 al 16 settembre al Palacio de las Convenciones durante il summit dei Paesi non allineati che concentrerà all'Avana più di 100 capi di stato delle nazioni del chiamato terzo mondo.
g.mina@giannimina.it

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ma finiscila
by gas Sunday, Sep. 03, 2006 at 7:34 PM mail:

finiscila minà che manco tu ci credi.....castro ha devastato i cubani, la dittatura và eliminata da cuba.

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La sovranità di CUBA deve essere rispettata
by F Espinoza Monday, Sep. 04, 2006 at 10:15 AM mail:

La sovranità di CUBA...
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La sovranità di CUBA deve essere rispettata



A causa della comunicazione di Fidel Castro sul suo stato di salute e sulla delega del suo mandato, alti funzionari statunitensi hanno formulato dichiarazioni sempre più esplicite circa il futuro immediato di Cuba. Il Segretario di Commercio Carlos Gutiérrez pensò che “è arrivato il momento di una vera transizione verso una vera democrazia” ed il portavoce della Casa Bianca Tony Snow ha detto che il suo governo è pronto ed ansioso per concedere assistenza umanitaria, economica e di un'altra natura al popolo di Cuba”, cosa che è appena stata ripetuta dal Presidente Bush.

Già la Commissione per una Cuba libera, presieduta dalla Segretaria di Stato Condoleezza Rice , aveva sottolineato in una relazione a metà di giugno “l'urgenza di lavorare oggi per garantire che la strategia di successione del regime di Castro non abbia successo” ed il Presidente Bush segnalò che questo documento “dimostra che stiamo lavorando attivamente per un cambiamento a Cuba, non semplicemente sperando che succeda”. Il Dipartimento di Stato ha sottolineato che il piano include misure che rimarranno segrete “per ragioni di sicurezza nazionale e per assicurare la loro effettiva realizzazione”.

Non è difficile immaginare il carattere di tali misure e dell' “assistenza” annunciata, se si tiene conto della militarizzazione della politica estera dell'attuale amministrazione statunitense e della sua attuazione in Iraq.

Davanti a questa minaccia crescente contro l'integrità di una nazione, la pace e la sicurezza in America Latina e nel mondo, i firmatari esigono che il governo degli Stati Uniti rispetti la sovranità di Cuba. Dobbiamo impedire ad ogni costo una nuova aggressione.


firma:

http://www.porcuba.org

http://www.porcuba.org

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sovranità di chi?
by floid Monday, Sep. 04, 2006 at 10:52 AM mail:

la sovranità cos'è a cuba?, premesso che c'è una dittatura da quasi 50 anni e che non ci sono regolari elezioni da quella .............chi sarebbe il sovrano di cuba? le 4 scimmiette ammaestrate dei servizi segreti cubani che sfilano sul malecon e le migliaia di lavoratori cubani costretti a farlo per non perdere il lavoro??

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