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Il progetto "EXIT" uscire dai movimenti NEONAZISTI
by ANTI FA' Tuesday, Nov. 22, 2005 at 10:05 PM mail:

Uscire dai movimenti neonazisti non è facile ma esiste un'organizzazione che fornisce aiuti Il progetto "EXIT"

Svezia, sabato 23: manifestazioni contro fascismo, nazismo e razzismo Nella notte precedente un attentato dinamitardo contro una sede della SACSabato 23 ottobre, manifestazioni in memoria di Björn Södeberg, il membro del sindacato libertario SAC recentemente assassinato, si sono svolte in tutta la Svezia. Circa 40.000 persone hanno manifestato il loro dolore e la loro rabbia in 20 diverse città. È stata la più grande manifestazione antifascista dallaseconda guerra mondiale. Björn Söderberg è stato ucciso il 12 ottobre dopo aver rivelato che un'attivista fascista si era infiltrato nella L.O. (un'omologa svedese della C.G.I.L.). Nella notte tra venerdì 22 e sabato 23 ottobre intorno all'una di notte una forte esplosione ha scosso la cittadina di Gävle, nella Svezia centrale.
L'obiettivo era la sede locale del SAC. L'edificio colpito, oltre che sede delle federazioni locali e del sindacato industriale della SAC era anche la casa natale dell'agitatore sindacale statunitense Joe Hill, nato in Svezia ed immigrato negli Stati Uniti dove fu attivo nell'IWW-Industrial Workers of the World. Fu assassinato dallo Stato, dopo in processo-farsa per un crimine mai commesso.
L'attentato era ovviamente un tentativo, peraltro fallito, di terrorizzare chi si preparava a partecipare alle manifestazioni del sabato: infatti nella sola Gälve hanno sfilato 2000 persone. A Stoccolma, la manifestazione ha attratto 20.000 partecipanti che si sono accalcati per ascoltare gli interventi della SAC e di altre tre organizzazioni sindacali. Un coro anarco-femminista ha intonato canzoni antifasciste di lotta; è inoltre intervenuto un rappresentante della Rete contro il razzismo. Bandiere rosse e nere e striscioni libertari hanno dominato il palco. A Göteborg, la manifestazione ha
coinvolto 8.000 partecipanti; è intervenuto, fra gli altri, Helmut Kirschey, antinazista tedesco e volontario nella Rivoluzione Spagnola. A Malmö, nella Svezia meridionale, circa 1000 persone hanno partecipato; cortei si sono svolti anche nellontano nord del paese. Il compito che sta ora di fronte al movimenti antirazzista, anarcosindacalista e sindacale, é quello di unire le forze per continuare a mobilitare l'intera classe lavoratrice contro il fascismo, ovunque presenti il suo turpe volto.

Info: Kurt Svensson c/o Brand, box 150 15 104 65 Stockholm Sweden;
e-mail: ksvensson@motkraft.net

(tratto da A-Infos, traduzione di Amria)
ORIZLIB
da "Umanità Nova" n.34 del 31 ottobre 1999



INDICE



http://www.coe.int/T/I/Comunicazione_e_ricerca/Stampa/Comunicati_stampa/030415_CS_6_rapporti_ECRI.asp

15/04/2003 - Consiglio d'Europa: sei nuovi rapporti sul razzismo.
Strasburgo, 15.04.2003 - La Commissione europea contro il Razzismo e l'Intolleranza (ECRI), organo del Consiglio d'Europa specializzato nella lotta contro il razzismo, ha pubblicato quest'oggi sei nuovi rapporti sul razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo e l'intolleranza relativi a: Andorra, Azerbaigian, Liechtenstein, Lituania, Moldavia e Svezia. L'ECRI prende atto degli sviluppi positivi avvenuti in tutti i sei paesi membri del Consiglio d'Europa. Allo stesso tempo, però, nei rapporti persistono elementi preoccupanti per la Commissione, tra cui:

In Andorra, l'ECRI ha rilevato l'assenza, nella legislazione andorrana, di disposizioni giuridiche penali, civili e amministrative relative alla lotta contro il razzismo e l'intolleranza. Un gran numero di immigrati si trovano in situazione precaria e il termine richiesto per la naturalizzazione dei residenti di lunga durata è molto esteso. L'ECRI teme che la situazione impedisca una piena integrazione nella società andorrana degli immigrati.

In Arzebaigian, le nozioni di razzismo e discriminazione appaiono, sembrano limitate alle manifestazioni più dure ed estreme di questi fenomeni, mentre vengono sottovalutate le manifestazioni più comuni. Tuttavia, in Arzebaigian, certe persone sono vittime di discriminazione diretta e indiretta nella loro vita quotidiana. Tra questi, i rifugiati, gli stranieri, i membri di minoranze religiose e gli armeni.

In Liechtenstein, resta preoccupante un certo tipo d'interesse rivolto all'estrema destra, soprattutto da parte dei giovani. L'ECRI nota che devono ancora essere elaborati e attuati un mandato e una strategia chiari e specifici che mirino a integrare nella società i non-cittadini e le persone di origine immigrata.

In Lituania, persistono problemi di razzismo e intolleranza, soprattutto nei confronti della comunità Rom, ma che riguardano anche i richiedenti asilo e i profughi ceceni e afgani. L'ECRI osserva che gli attuali provvedimenti normativi diretti a combattere le manifestazioni di razzismo e discriminazione razziale non sono sempre adeguati a questi fenomeni e raramente vengono applicati.

In Moldavia, la difficoltà principale risulta essere la necessità di assicurare, in maniera pacifica e per evitare discriminazioni future o tensioni interetniche, la coesistenza di varie lingue. L'ECRI ha inoltre rilevato, che a causa delle tensioni politiche e sociali, l'attuazione dei provvedimenti penali, civili e amministrativi, relativi alla lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale, risultano molto difficili e che a questo proposito la comunità Rom è molto vulnerabile.

In Svezia sussistono problemi di razzismo e intolleranza, in particolare, le persone di origine immigrata non hanno la sensazione di essere completamente parte della società e restano parzialmente escluse dalle sue strutture, affrontando la discriminazione e gli svantaggi sul mercato del lavoro, nella possibilità d'alloggio, nell'accesso a certi luoghi aperti al pubblico, quali ristoranti e discoteche, così come nel campo dell'educazione e in diversi altri settori. Infine, restano fattore di preoccupazione, secondo l'ECRI, le attività di organizzazioni e movimenti di estrema destra, in particolare, atti di violenza e la produzione di musica del "potere bianco".

I sei nuovi rapporti fanno parte di un secondo ciclo di monitoraggio delle leggi, delle politiche e delle pratiche degli Stati membri, nella lotta al razzismo. I rapporti dell'ECRI, paese per paese (disponibili in inglese e francese sul sito Internet http://www.coe.int/ecri) coprono in posizione egualitaria tutti gli Stati membri, per quanto riguarda la protezione dei diritti dell'Uomo. I secondi rapporti esaminano l'attuazione delle proposte fatte ai governi nei rapporti precedenti, contengono informazioni generali aggiornate e offrono un'analisi approfondita di alcuni aspetti particolarmente preoccupanti nei paesi coinvolti.



INDICE



LE MONDE diplomatique - Marzo 2000

CRISI SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA
Le estreme destre d'Europa, populiste e "rispettabili"

L'evoluzione delle vicende austriache (leggere a pagina 3) lo conferma: l'estrema destra non è mai sparita dal paesaggio europeo. Mentre alcuni movimenti esclusi dal sistema elettorale, come in Scandinavia o in Gran Bretagna, hanno fatto ricorso al terrorismo, gli altri prosperano sull'evanescenza del divario destra/sinistra, che priva di senso la rappresentanza politica. Il problema allora non è tanto il presunto riaffiorare del "fascismo" quanto l'anestetizzazione di una democrazia attuata attraverso il consenso politico-economico.

di Jean-Yves Camus*
La scissione del Fronte Nazionale francese e il tracollo delle estreme destre alle elezioni europee del 13 giugno 1999 avevano dato l'impressione che il loro declino fosse ormai iniziato. Ma da allora, diversi risultati elettorali hanno contraddetto questa previsione. Il 3 ottobre 1999 il Partito liberale dell'Austria (Freiheitliche Partei àsterreichs FpÜ) di JÜrg Haider è diventato il secondo partito austriaco, con il 26,9%; il 24 ottobre in Svizzera, l'Unione democratica del centro, partito agrario conservatore diretto da Christoph Blocher, ha ottenuto il 22,5% dei voti, affermandosi così come primo partito del paese, a parità con i socialisti (1); e mentre la Deutsche Volksunion (Dvu) entrava nei parlamenti di vari Lènder della Germania Est, in Norvegia, alle elezioni comunali del 14 settembre 1999, si è confermata la lenta avanzata del Partito del progresso (13,4%, con un aumento dell'1,4%).
Nell'Europa occidentale, i persistenti successi elettorali dei partiti xenofobi sono legati al progredire di una concezione ultraliberista dell'economia e della società, caratterizzata tra l'altro dalla netta volontà delle élites politiche ed economiche di considerare superato il quadro degli stati-nazione. L'estrema destra europea ha acquisito così una base sociale, e si esprime oramai più attraverso le urne che con un attivismo violento. Quest'ultimo fenomeno rimane invece preoccupante nei paesi in cui le formazioni estremiste non trovano sbocchi elettorali, a causa di un sistema elettorale che penalizza i partiti "anti-sistema", come in Gran Bretagna (il micidiale maggioritario uninominale a un solo turno) oppure, come in Svezia, a causa della fortissima pressione sociale, tendente a emarginare le idee non consensuali. Inoltre, qui come altrove il frazionamento organizzativo e l'assenza di dirigenti carismatici possono impedire al movimento di catalizzarsi.
Così, a fianco dei partiti legali o anche al loro interno (non è rara la doppia appartenenza dei militanti) si manifestano da alcuni anni gruppuscoli violenti, di ideologia apertamente neonazista e razzista. Secondo l'analisi dei politologi Jeffrey Kaplan e Leonard Weinberg (2), queste formazioni hanno imitato, sia nelle idee che nei metodi d'organizzazione e d'azione, alcuni gruppi terroristici americani (The Order, Aryan Nations); e come ha dimostrato la campagna d'attentati in Svezia hanno acquisito una certa capacità di attuare azioni di considerevole rilievo.
Questi pericolosi movimenti compresi anche quelli degli skinheads non hanno tuttavia innescato dinamiche politiche o sociali, se si eccettuano i gruppi giovanili dei Lènder della Germania orientale. Nei paesi in cui si esprimono, questi gruppi violenti si riferiscono esplicitamente all'ideologia del nazionalsocialismo o dei vari fascismi, e utilizzano i loro simboli, sfidando spesso i divieti. Ma questa famiglia dell'estrema destra è oramai minoritaria, mentre i successi maggiori vanno ai partiti populisti e xenofobi. Nella maggior parte delle democrazie occidentali quest'estrema destra elettoralmente rappresentativa, che tra il 1945 e gli anni 80 era confinata all'Italia e alle dittature dell'Europa meridionale, si afferma sul terreno di una crescente povertà di massa, in una società che evolve verso il "multi- culturalismo". L'immigrazione è caratterizzata in effetti da ondate di naturalizzazioni e di sanatorie, accompagnate, in numerosi paesi, dalla concessione della cittadinanza e dei diritti politici, oltre che da una politica di riconoscimento giuridico dei diritti delle lingue e culture minoritarie.
Il centro di gravità della nebulosa estremista, che negli anni 60 e 70 si collocava nei paesi in via di industrializzazione, si è spostato oggi verso il centro e il nord dell'Europa.
Parallelamente, al Movimento sociale italiano (Msi), partito-faro dell'estrema destra di allora, si è sostituito negli anni 80 e 90 il Fronte nazionale francese (Fn), che ha ispirato in altri paesi numerose formazioni, con esiti variabili, quanto meno nell'Europa occidentale: successi reali ma effimeri (l'Fn belga di Daniel Ferret), non trascurabili ma insufficienti a eleggere rappresentanti (la Sverigedemokraterna, Svezia), oppure nella maggioranza dei casi del tutto marginali (Democracia nacional in Spagna, Fronte nazionale in Italia).
Dopo la scissione e il calo elettorale, il partito di Jean Marie Le Pen non è più un modello incontestato.
Elettori venuti da sinistra Oggi però una terza ondata, più consistente, si incarna nei "populismi alpini" (Haider e Blocher, la Lega Nord di Umberto Bossi e quella dei ticinesi) e in quelli scandinavi (il Partito del progresso norvegese di Carl Hagen e il Partito del popolo danese di Pia Kjaersgaard) (3). Questi partiti non hanno alcun collegamento con il fascismo e il nazismo (ad eccezione di quello di JÜrg Haider); postulano uno stato ridotto ai minimi termini; sono xenofobi, ma nei loro discorsi ufficiali respingono il razzismo gerarchizzante e l'antisemitismo; rifiutano di cooperare con formazioni che giudicano estremiste, quali l'Fn o il Vlaams Blok, ma accettano l'idea di governare in coalizione con la destra. Poiché questi partiti non corrispondono al fascismo tradizionale, i fattori di tipo "essenzialista" (mancata denazificazione in Austria, xenofobia di antica data in Svizzera) non bastano a spiegare il loro successo; e non spiegano neppure i buoni risultati ottenuti da formazioni di tipo "misto" (tra recupero del voto di protesta e filiazione di estrema destra) quali l'Fn francese o il Vlaams Blok (4). Quest'ultimo, ad esempio, è stato spesso descritto come erede della frangia filo-nazista del movimento fiammingo d'anteguerra. Ma il politologo Marc Swyngedouw ha dimostrato che solo il 4-5% degli elettori "blokkers" adducono come motivazione della loro scelta la difesa del nazionalismo fiammingo, mentre tra chi ha dato il suo voto alla Volksunie questa percentuale raggiunge il 17%.
Anche qui, come nell'Fn, si nota quindi una distinzione fondamentale tra un inquadramento ancora segnato, nella sua traiettoria come nelle convinzioni dei suoi militanti, dall'estrema destra tradizionale, e un elettorato che ne è del tutto distaccato, e proviene anzi in parte dalla sinistra. Nelle Fiandre, il 21% dei giovani elettori che nel 1991 avevano votato socialista sono passati in seguito al Blok; e alle legislative del 1999, l'FpÜ austriaco ha sottratto al partito socialdemocratico (SpÜ) circa 213.000 voti. In Danimarca, il 10% di coloro che nel 1998 avevano votato per la Dansk Folkeparti (partito del popolo danese) provenivano dai ranghi socialdemocratici.
A ciò si aggiunge il fatto che spesso i dirigenti di queste formazioni non hanno affatto un passato estremista: Mogens Camre, dirigente della Dansk Folkeparti, era un deputato socialdemocratico; neppure Thomas Prinzhorn, astro nascente dell'FpÜ, ha un passato ultrà, ma è stato come del resto Blocher dirigente aziendale. La differenza è notevole rispetto al Movimento nazionale repubblicano (Mnr) di Bruno Mégret, e spiega in parte l'insuccesso del suo tentativo di acquistare consensi tra gli elettori della destra classica: non soltanto la scissione dall'Fn non ha dato luogo a svolte ideologiche di sorta, ma l'Mnr, che pure si presentava come partito rinnovatore, dissociato dagli eccessi lepenisti, è di fatto guidato da elementi impregnati di un'ideologia nazionalista rivoluzionaria (il movimento "Terre et Peuple" di Pierre Vial) o delle tesi identitarie della "nuova destra" degli anni 70.
Si contrappongono dunque due concezioni della lotta politica: da un lato la testimonianza storica, generalmente a partire da posizioni controrivoluzionarie o nostalgiche, o da forme di integralismo religioso; dall'altro l'accettazione di una modernizzazione programmatica e organizzativa per la conquista del potere. E i partiti che non si sono aggiornati finiscono per emarginarsi e trasformarsi in gruppuscoli: L'Msi-Fiamma tricolore italiano, che aggrega i refrattari all'aggiornamento imposto da Gianfranco Fini nel 1995, non supera oggi l'1,6% dei voti. Le formazioni che non hanno altro programma al di fuori della difesa e celebrazione dei regimi autoritari (Spagna, Portogallo; Grecia) sono praticamente scomparse (5).
I "populismi" xenofobi (6) hanno sfondato soprattutto tra le categorie di popolazione più minacciate nel loro status sociale e occupazionale. A questo riguardo, la situazione francese, con l'Fn che alle legislative del 1997 ha raggiunto anche il 30% in talune circoscrizioni, non rappresenta un'eccezione. E' una tendenza ben percepibile anche tra i giovani (il 33% sotto i 35 anni in Francia, il 35% sotto i 30 in Austria).
Questa situazione può essere spiegata attraverso la cosiddetta teoria degli "interessi economici minacciati" o degli "interessi simbolici": le fasce di popolazione a rischio a causa della crisi percepiscono la manodopera estera come concorrente, e tendono a votare per le formazioni xenofobe che promettono di assicurare loro in esclusiva il beneficio del diritto al lavoro e altri diritti fondamentali. Sono infatti gli operai o impiegati meno qualificati a costituire il grosso dell'elettorato del Vlaams Blok; e nel 1999, il 48% degli operai austriaci ha scelto l'FpÜ, divenuto ormai di gran lunga il primo partito rappresentativo dei "colletti blu". Quanto ai Republikaner tedeschi, il politologo Patrick Moreau sottolinea "la correlazione della scelta estremista con un basso livello di organizzazione sindacale, l'esperienza della disoccupazione, l'appartenenza a una famiglia numerosa e la dipendenza dall'aiuto sociale", valutando al 17% la base operaia del partito alle elezioni regionali del 1996.
Al contrario, in Danimarca e in Norvegia, dove l'estrema destra ottiene rispettivamente il 9,8 e il 15,3%, non è stata individuata nessuna correlazione tra la disoccupazione e il voto per questi partiti. Eppure, il loro elettorato è costituito, oltre che da imprenditori e lavoratori autonomi, anche da una proporzione crescente di operai: in questi due paesi, i rispettivi Partiti del progresso sono anche i primi partiti operai e hanno sorpassato i socialdemocratici. Una delle possibili spiegazioni è che nei paesi in cui lo stato sociale ha fatto grandi passi avanti non solo grazie ai socialdemocratici, ma anche sotto governi "borghesi", la fedeltà della classe operaia nei confronti della sinistra tende ad erodersi, lasciando prevalere la componente autoritaria di una frazione della cultura operaia, che non trova altra incarnazione al di fuori della nuova destra.
Esiste quindi un paradosso da spiegare: un elettorato essenzialmente popolare vota per formazioni appartenenti all'estrema destra "post-industriale", accomunate dal fatto di incorporare nei loro programmi, in proporzioni variabili, il fattore "nazionale", accanto ad elementi neoliberisti o anche libertari.
Ad esempio, il programma economico dell'FpÜ raccomanda una completa "deregulation economica, che garantisca la competitività e la prosperità dell'economia austriaca e la creazione di posti di lavoro". Quello dell'Udc condanna "il ricorso abusivo alle prestazioni sociali", e chiede "orari di lavoro e sistemi salariali flessibili", nonché "la soppressione di talune prestazioni dello stato", il tutto ovviamente accompagnato da un "sistema fiscale vantaggioso per tutte le imprese". Anche i partiti scandinavi hanno avuto origine dalla protesta contro il fisco e dalla volontà di limitare le prerogative dello stato sociale: una tematica che si ritrova nell'ala liberale minoritaria del Vlaams Blok, diretta dalla deputata Alexandra Colen.
La Lega Nord, dal canto suo, costituisce un fenomeno più complesso, che può essere interpretato come la risposta delle classi medie emergenti e dei piccoli imprenditori dell'Italia settentrionale a una situazione nella quale la modernizzazione del capitalismo locale, caratterizzata dall'esplosione della micro- impresa, non è stata accompagnata da un adeguamento altrettanto rapido del quadro istituzionale e politico. E' in questo contesto approfittando anche dello spazio liberato a destra dalla disgregazione della Democrazia cristiana - che la Lega ha potuto emergere, con la sua duplice xenofobia verso gli stranieri e gli italiani del sud la sua protesta fiscale e una rivendicazione indipendentista basata su un'identità e una storia mitizzate (la Padania e il "popolo padano" non sono mai esistiti).
Il politologo Herbert Kitschelt (7) spiega l'adesione delle fasce popolari al neoliberismo con la globalizzazione dell'economia, che ostacola le politiche di attenuazione delle disuguaglianze attraverso l'intervento dello stato. Di conseguenza, la fascia più modesta dell'elettorato è indotta a credere che la giustizia sociale si possa raggiungere riducendo lo stato ai minimi termini e lasciando agire il libero gioco del mercato (che secondo i populisti e gli ultraliberisti favorirebbe l'ascesa sociale liberando le energie creative e l'iniziativa individuale). Quest'analisi può anche spiegare in parte la componente xenofoba del voto populista. In effetti, chi si sente minacciato dalla concorrenza degli stranieri sul mercato del lavoro accetta il programma liberale dei partiti populisti soltanto nella misura in cui vi si postula l'esclusione degli immigrati dai benefici delle prestazioni sociali, e persino dai posti di lavoro. In termini di analisi costi/benefici, l'ultraliberismo appare allora sopportabile, se temperato dalla preferenza nazionale. In Francia tuttavia, a partire dalla "svolta sociale" dell'autunno 1995, il Fronte nazionale, assai più degli altri partiti estremisti, ha in parte voltato le spalle al suo passato liberismo, che convive oramai con una certa difesa del servizio pubblico e delle conquiste sociali, purché riservate ai francesi.
In questo stesso discorso, l'accoppiata politici-funzionari viene regolarmente associata alla corruzione e allo sperpero. La si assume a simbolo del fallimento delle funzioni di mantenimento dell'ordine dello stato e difatti la domanda di ordine e sicurezza è onnipresente nonché della soffocante pressione fiscale, imputata al peso crescente degli "improduttivi", in contrapposizione con i creatori di ricchezza (piccoli imprenditori, liberi professionisti, artigiani, agricoltori e persino operai). Benché non si possa individuare una correlazione sistematica tra la percentuale degli stranieri e il voto estremista, la protesta contro l'immigrazione figura incontestabilmente tra le sue principali motivazioni. L'inchiesta Eurobarometro del 1997 ha dimostrato che gli elettori dell'Fn, del Vlaams Blok e dei Republikaner si schierano in favore di una discriminazione anti-immigrati, e rifiutano qualsiasi forma di "multiculturalismo". Tutti questi partiti sono caratterizzati da un razzismo di tipo gerarchizzante, nella cui ottica il meticciato appare come un vero incubo. Tra gli aderenti ad altri movimenti, tra cui le varie forme del populismo scandinavo, l'Alliance nationale, la Lega e il FpÜ, l'insistenza sul razzismo è minore, e l'opposizione all'immigrazione viene giustificata con le differenze culturali, come dimostra chiaramente il programma di Haider: "La coscienza che si possiede delle qualità specifiche del proprio popolo è inseparabile dalla volontà di rispettare ciò che è specifico degli altri popoli": la stessa formulazione è ripresa, in buona misura, dall'etno-differenzialismo della nuova destra.
Altro segno della correlazione tra globalizzazione ultraliberista e avanzata degli estremismi: secondo la stessa inchiesta, l'87,5% dei sostenitori dei Republikaner, il 68,4% di quelli dell'Fn e il 45% degli elettori dell'FpÜ danno dell'Europa un giudizio negativo. Ma tra l'elettorato del Vlaams Blok questa proporzione scende al 40,8% (poco più del 38,9% riscontrato presso i socialisti). Il motivo va ricercato senza dubbio nella popolarità dell'idea di un'Europa delle etnie in seno al movimento fiammingo, che la considera come principale mezzo di rottura dello stato-nazione, al quale sono invece legati i populisti tedeschi, austriaci e francesi. La dimensione anti-europea è percepibile anche in Scandinavia (il Partito norvegese del progresso ha fatto campagna contro l'adesione all'Ue) e in Svizzera.
Le estreme destre professano di fatto una sorta di "liberalismo autarchico" senza il libero scambio: un liberalismo che dovrebbe fermarsi ai confini nazionali, e si tradurrebbe nello smantellamento dello stato e delle conquiste sociali. Sono in atto però alcune evoluzioni: ad esempio, l'Fn francese ha condotto una campagna come del resto varie altre formazioni omologhe contro l'Organizzazione mondiale del commercio (Omc).
Dal canto suo, il partito di Blocher non mette in discussione quest'organizzazione. Quanto a Haider, ha appoggiato l'adesione dell'Austria alla Nato.
Infine, come non sottolineare il ruolo determinante dell'assenza di una vera contrapposizione politica nell'avanzata delle destre in Europa? In Scandinavia, in Svizzera (come in Austria e in Belgio fino alle elezioni del 1999), la vita politica si riassume in due formule: quella della coalizione permanente (SpÜ- àvp, socialdemocratici/conservatori, la "formula magica" svizzera che garantisce una stabile ripartizione dei seggi tra i grandi partiti al Consiglio nazionale), o quella di una regolare alternanza tra una socialdemocrazia e una destra liberale, i cui programmi non presentano praticamente più alcuna differenza, se non sul piano delle rispettive ricette per la regolazione o l'ulteriore liberalizzazione del mercato. Il clientelismo dei grandi partiti e la loro compenetrazione con l'apparato dello stato impediscono qualsiasi riforma di fondo delle strutture istituzionali, cristallizzando il sistema di rappresentanza. E la conseguente insofferenza per il ceto politico appare come una delle determinanti essenziali del voto in favore dell'Fn francese, del Vlaams Blok, dell'FpÜ e della Lega mentre l'elettorato di Alleanza nazionale si distingue per la sua accettazione del gioco democratico e delle élites alle quali si è integrata. Unici esempi contrastanti: l'insuccesso della Nationalbewegong del Lussemburgo e dei Centrumdemokraten in Olanda, due paesi nei quali tuttavia il consenso è altissimo.
Al di là della loro innegabile dimensione autoritaria e xenofoba, le destre radicali hanno incontestabilmente tratto un grande vantaggio dall'evanescenza del divario destra/sinistra e dal larghissimo consenso intorno all'associazione tra socialdemocrazia e "nuovo centro". Se queste destre incarnano oggi la principale forza di dissenso, all'interno di contesti sociali in cui il dibattito delle idee si riduce alla discussione sui metodi per gestire il modello liberista, la sinistra innanzitutto deve interrogarsi sulle proprie carenze e rinunce, e la destra conservatrice sul suo accecamento e la sua codardia.
E' difficile prevedere come si comporterebbero questi partiti, una volta al potere. L'esempio italiano fa pensare a una certa "plasticità" dei movimenti estremisti, confermata anche dall'opportunismo dei loro dirigenti come dimostra l'esempio Haider. Una volta abbandonata la funzione di tribuni, essi potrebbero inserirsi tra i mutevoli quadri della democrazia liberista. Per il momento, bisognerà in ogni caso mettere in conto il fatto che queste formazioni esercitano una pressione autoritaria sui pubblici poteri e reintroducono nel discorso politico valori estranei alla democrazia, minacciando così di avallare una certa violenza xenofoba.



note:

* Politologo, autore de Les Extrémismes en Europe, rapporto annuale del Centro europeo di ricerca e d'azione sul razzismo e l'antisemitismo (Cera), Editions de l'Aube, 1999, e Front National: eine Gefahr ffr die franzÜsische Demokratie?, Bouvier Verlag, Bonn, 1998.

(1) Leggere Peter Niggli, "Il balzo in avanti della nuova destra in Svizzera", Le Monde diplomatique/il manifesto, dicembre 1999.

(2) Jeffrey Kaplan, Leonard Weinberg, Fade to black: the emergence of an Euro-american radical right, Rutgers University Press, Piscataway (New Jersey) 1998.
(3) Sul neo-nazismo svedese, leggere Démokratins fÜrgÜrare (opera collettiva), Statens Offentliga Utredningar, Stoccolma, 1999; sulla nuova destra danese, leggere Johannes Andersen et al.
, Valelgere med omtanke. En analyse af folketingsvalget 1998, Forlaget Systime, Arhus, 1999.

(4) Leggere Serge Govaert, "L'esterma destra alla conquista di Bruxelles". Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 1998.

(5) I cinque partiti falangisti o radicali che hanno partecipato alle europee del giugno 1999 hanno riportato 61.522 voti; in Portogallo, il partito neo-salazarista Aliança Nacional non si è presentato; in Grecia, due formazioni antisemite, Proti Grammi e Enosis Kentroon, hanno ottenuto insieme l'1,57% (101.044 voti).

(6) Sull'uso ideologico di questo termine, leggere Serge Halimi, "Il populismo, un nemico ritrovato", Le Monde diplomatique/il manifesto, aprile 1996.

(7) Herbert Kitschelt, The Radical Right in Western Europe, University of Michigan Press, 1995.
(Traduzione di P.M.)





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Corriere della Sera, 27/4/2000
Il razzismo democratico in svezia
Per decenni nella Svezia socialdemocratica si è praticata la sterilizzazione di individui identificati come malati di mente o semplicemente segnati dall’emarginazione sociale. Questa scoperta, fatta da una studiosa, Maija Runcis, venne ripresa nel 1997 da uno dei principali quotidiani del Paese, Dagens Nyheter, determinando un acceso dibattito sui caratteri e le zone d'ombra di un modello di Welfare tra i più noti al mondo.Tutto era iniziato per caso: la Runcis, impiegata presso l'Archivio di Stato di Stoccolma, si era imbattuta nelle pratiche con cui, a partire dal 1934, veniva legalmente disposta la sterilizzazione. La dimensione del fenomeno era considerevole: 63.000 sterilizzazioni fra il 1935 e il 1975. Molte volte la motivazione di un provvedimento del genere - che aveva colpito nel 95 per cento dei casi delle donne - appariva assolutamente superficiale, frutto di pregiudizi più che di ragioni mediche, per quanto discutibili. «Incosciente», «frivola», «infantile», «sessualmente inaffidabile», ha una zia «strana», va troppo a ballare, si guarda sempre allo specchio: spesso la pratica di sterilizzazione era stata avviata sulla base di giudizi di questo tenore, rilasciati dal maestro di scuola, dal parroco, da qualche vicino di casa.
A differenza delle contemporanee disposizioni eugenetiche della Germania nazista, la legge svedese prevedeva il consenso di chi era soggetto all'operazione: ma è facile immaginare che individui «sprovvisti di istruzione e di mezzi, posti alla mercé della beneficenza pubblica, non avrebbero potuto resistere efficacemente alle pressioni di medici e assistenti sociali». A osservarlo è un giovane studioso, Piero S. Colla, che alla ricerca della Runcis e ad altre comparse in Svezia sullo stesso argomento ha ora dedicato un volume. Il suo libro cerca anche di mettere in rapporto la pratica della sterilizzazione con il riformismo socialdemocratico, del quale essa finisce con l'apparire, per quanto possa sembrare paradossale, un inquietante sottoprodotto.
Nei primi decenni del 1900 la Svezia fu uno dei Paesi in cui più ebbe successo l'eugenetica, una disciplina che alle origini trovava credito anche presso molti riformatori sociali, che consideravano naturale affiancare a riforme di contenuto economico delle misure volte all'«igiene della specie». Nel 1921 sorgeva proprio in Svezia, primo nel mondo, un Istituto di Stato per la biologia razziale. Quando, tre anni fa, esplose lo scandalo legato alle ricerche di Maija Runcis, sembrò dunque naturale attribuire la sconcertante pratica delle sterilizzazioni al successo riscosso mezzo secolo prima dall’eugenetica, all’incapacità dei suoi cultori svedesi di rendersi conto per tempo di quei rischi che le misure eugenetiche del regime nazista dovevano mettere subito in evidenza. Benché avvenute proprio nel corso della lunga stagione dei governi socialdemocratici iniziata nel 1932, le sterilizzazioni - questa la spiegazione ufficiale - andavano dunque considerate un relitto del passato, che poco aveva a che fare con i principi e l'ethos del «modello svedese». In realtà, come dimostra il saggio di Colla, le cose non stavano affatto così. Anzitutto, la legge del 1934 che introdusse la sterilizzazione era stata approvata grazie a un largo consenso del Parlamento e al convinto sostegno dei socialdemocratici; essa aveva motivazioni eugenetiche (limitare la fecondità di chi fosse affetto da disturbi psichici) che si affiancavano però a giustificazioni di tipo «sociale», tali da indurre a considerare quegli interventi come una forma di difesa della «società del benessere» nei confronti di individui che mal si raccordavano con essa. Nel 1941 furono sempre i socialdemocratici a far approvare una nuova legge con cui diventava esplicita l'intenzione di praticare la sterilizzazione su chi seguisse un «modo di vita asociale». Contemporaneamente si rendeva più facile prescindere dal consenso dei «pazienti» e si sollecitava l'intensificazione degli interventi. Nel suo saggio Colla non sottovaluta il ruolo comunque svolto dalle preoccupazioni eugenetiche, o la funzione dell'ethos luterano nello spingere verso la sterilizzazione di tante donne i cui comportamenti fossero giudicati eccessivamente disinibiti. Ma esamina soprattutto la connessione tra l'ideale di armonia sociale ipotizzato dai socialdemocratici e l'eliminazione di individui che sembravano potenzialmente in contraddizione con quel modello. La sterilizzazione, insomma, si giustificava con motivazioni «progressiste», in fondo non troppo diverse da quelle delle contemporanee campagne per l'educazione sessuale, la contraccezione e la maternità responsabile. Non a caso ne l947, anno in cui fu introdotto in Svezia il sussidio universale di maternità, venne teorizzata con più forza la necessità delle sterilizzazioni e il loro numero subì un’impennata. Gli stessi rappresentanti di un’assistenza sociale fortemente dedita a promuovere il benessere dei cittadini premevano in questa direzione: erano spaventati dalla prospettiva di ospedali pieni di «asociali» che – affermavano - non avrebbero avuto nessuna intenzione o capacità di lavorare. Una maggioranza di individui «di serie A» sembrava minacciata da una minoranza di individui «di serie B», che apparivano soprattutto come un costo e un fattore di rischio per tutto l'insieme delle misure di protezione sociale. Due giovani e famosi sociologi aderenti alla socialdemocrazia, i coniugi Alva e Gunnar Myrdal, parlavano di individui più o meno «adatti all'esistenza« (A e B, appunto), di persone «di valore inferiore», e prospettavano un riformismo sociale che doveva ridurre al minimo i «pesi morti» della società del benessere. «Incontriamo continuamente madri nubili, intellettualmente poco dotate, con un carico di figli straboccante, in cui tutto il gregge è a carico della collettività e dove l'insorgere di comportamenti asociali e criminali originerà grosse preoccupazioni»: i Myrdal scrissero questo in un libro che raggiunse tirature degne della letteratura popolare. Ma sul piano culturale, i responsabili indiretti della pratica legale della sterilizzazione furono molti.…In realtà tutta questa vicenda testimonia proprio dei rischi dell'ingegneria sociale… Il sonno della ragione, afferma una frase tante volte ripetuta, genera mostri. Ma la lunga pratica della sterilizzazione condotta da un illuminato governo socialdemocratico ci ricorda come anche la superbia della ragione possa generarne.
Giovanni Belardelli (Corriere della Sera, 27/4/2000)

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Uscire dai movimenti neonazisti non è facile ma esiste un'organizzazione che fornisce aiuti

Il progetto "EXIT"

Si chiama EXIT Deutschland l'organizzazione di assistenza all'uscita dal neonazismo presieduta da Ingo Hasselbach. Il progetto, pensato per la prima volta in Norvegia come programma di contrasto dei gruppi razzisti e violenti, si è poi affermato in Svezia e quindi in Germania. Punta all'offerta di strumenti concreti per chi decide di abbandonare le organizzazioni di estrema destra, ed ha bisogno non solo di confronto culturale e di formazione professionale per reinserirsi in un contesto civile, ma spesso anche la necessità di cambiare città o la stessa identità, per sottrarsi alla violenza che quelle organizzazioni riservano a chi "tradisce". Oltre alla reintegrazione degli appartenenti alla scena estremista, EXIT può produrre un enorme serbatoio di conoscenze utili agli studi sull'estremismo di destra, all'assistenza sociale e al lavoro con i giovani a rischio.

A.T.

Il giornale di Vicenza, Mercoledì 19 Luglio 2000 tratto dal sito fasciata la legione

Stoccolma. Il nazismo è una malattia, dalla quale si può uscire a patto di disporre dei trattamenti adeguati: su questo principio si basa l’iniziativa di una quarantina di Comuni svedesi, che stanno preparando un programma per aiutare i giovani estremisti "pentiti" a liberarsi dal culto dell’odio e della violenza. L’iniziativa si basa su una ricerca di due studiosi, che attraverso una serie di interviste hanno individuato le motivazioni che spesso portano i giovani ad aderire a gruppi nazisti, e nello stesso tempo la frustrazione di quegli stessi giovani per la mancanza di strutture che li aiutino a fermarsi in tempo o a tornare indietro quando ne hanno abbastanza. Autori della ricerca sono Karl-Olov Arnstberg, etnologo, e Jonas Hallen, giornalista: il loro lavoro nasce dalla preoccupazione per un fenomeno che sta assumendo in Svezia dimensioni inquietanti, come dimostrano i ripetuti e crescenti episodi di violenza di cui sono protagonisti giovani nazisti. A queste conclusioni Arnstberg e Hallen sono arrivati sulla base delle confessioni di 15 ragazzi, i quali hanno lamentato che quando hanno deciso di liberarsi, e di smettere di andare in giro ubriachi gridando "sieg heil", non hanno trovato aiuti: la società li tratta da paria.

L’esercizio dei due studiosi è stato accolto con attenzione: il problema del nazismo interessa almeno cento Comuni, e i sindaci hanno deciso di passare all’azione. In che cosa consisterà il "pacchetto" non è ancora chiaro: lo stanno elaborando con l’assistenza dell’ organizzazione Exit, fondata dall’ex nazista-skinhead Kent Lindhal. L’idea è che ai giovani "pentiti" si debbano fornire informazioni, riferimenti e contatti locali, e ai ragazzi a rischio si debbano proporre barriere e strumenti di prevenzione.





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http://qn.quotidiano.net/art/2000/08/16/1200989

Cinquantamila svastiche su Internet

BERLINO, 14 AGOSTO - Cinquantamila svastiche su internet: questa la sconfortante scoperta fatta da una società informatica di Kassel (Assia, Germania centrale).


Soltanto su siti internet tedeschi - ha detto oggi un portavoce della società 'Only Solutions' - sono stati scoperti 2 mila websites con simboli nazisti e contenuti di estrema destra. Servendosi di uno speciale programma per il rilevamento di immagini, gli esperti di Kassel nel giro di tre settimane hanno visitato un miliardo di siti internet sparsi in tutto il mondo alla ricerca di simboli nazisti.



L'85% delle pagine online con contenuto di orientamento nazifascista è risultato essere su server americani. Molto presenti sono paesi come la Svezia,, la Finlandia, l'Austria e il Giappone. Proprio ieri il capo della comunità ebraica in Germania Paul Spiegel - nel lanciare un nuovo appello alla lotta contro il dilagare in Germania del neonazismo e dell'estrema destra - aveva invitato in particolare a intensificare la vigilanza per ciò che concerne la propaganda della violenza xenofoba via internet.





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http://www.dweb.repubblica.it/archivio_d/2000/10/03/attualit/attualit/213omb220213.html

Attualità >

nazismo
ombre nere
In Germania fanno più paura. Ma, dalle democrazie scandinave alla Francia, dalla Spagna, all'Inghilterra, nessuno è immune dal virus della xenofobia. Che dalle piazze, nella musica, sulla rete, contagia il centro di una società che fatica a riconoscerne i sintomi
di Paolo Rumiz



Achtung. Attenti, prima di dire che tornano. Oggi, i nazisti non sbucano più dalle birrerie, ma da Internet. Non hanno il passo cadenzato, non li annuncia il maschio tamburo, ma un rock "degenerato". Si tatuano, si infilano nelle crepe del sistema globale che contestano e ne assumono il linguaggio. Il loro nemico non è più il comunismo - crollato col Muro - ma l'America, l'imperialismo del grande capitale. Molti, in Germania, vengono dalle terre comuniste dell'Est. Uno dei loro capi si chiama Horst Mahler, ex militante della Raf, la Frazione armata rossa. Disseppelliscono i vecchi simboli, il mito della razza, l'odio per il negro e l'ebreo, ma gridano contro lo sfruttamento dei padroni. In Italia li invitano i fascisti di Forza Nuova, ma persino Rifondazione Comunista dice di loro: "Avranno delle ragioni". Sfuggono agli schemi della politica e delle ideologie. I giornali faticano a descriverli, i governi a schedarli. È un virus nuovo, quello che dilaga a cavallo delle vecchie rune. Come sarebbe facile se venissero ancora dalla Baviera o dall'Austria, culle contadine e ipercattoliche del fanatismo hitleriano. E invece no. Anche qui i numeri ci sorprendono. Nel mondo subalpino del Nord, persino in zona Haider, le aggressioni razziste sono inferiori alla media europea. Forse, è solo una pentola in ebollizione tenuta chiusa dall'ipercontrollo della polizia. Di certo accade che proprio lì, tra le quieti sorgenti del Danubio e l'Inn che dilaga spumeggiando dalle valli tirolesi, poco spazio sia lasciato al mito dei Nibelunghi. In Baviera i simboli identitari della Germania rurale - pantaloni di cuoio, feste campestri, torrenti e purezza alpina - sono già gestiti dal partito di Centro-destra che governa il Land: la Csu. Il suo grasso corpo cattolico gioca col vecchio demone da cinquant'anni. Lo lusinga, lo provoca. Ma, così, lo tiene chiuso in bottiglia. Assorbe e digerisce tutto. Alla Destra estrema non lascia nulla. Neanche uno scaffale di birreria. Chi sono i neonazi? Assai più facile sapere cosa non sono. "Kanake Verrecke!", crepa straniero, gridano nelle loro canzoni le teste rapate in terra tedesca. Ma, a ben guardare, le loro aggressioni xenofobe non hanno molto a che fare con gli stranieri. Gli atti di criminalità contro gli immigrati si concentrano proprio nei Länder dove la presenza straniera è bassa. Nella regione più "calda", il Sachsen-Anhalt (dove i sondaggi attribuiscono il 15 % alla Destra estrema), la percentuale di non tedeschi è di 1,7% contro l'8% della media nazionale. A Rathenow, nel Brandeburgo, si bastonano gli africani, ma gli africani quasi non ci sono. Schwedt, ai confini con la Polonia, è considerata dai neonazi una "zona nazionalmente liberata", ma gli stranieri erano poche decine. In Svizzera, il cantone meno xenofobo è quello di Ginevra, dove i forestieri raggiungono il top della Confederazione e dell'Europa intera: 40 %. L'esatto contrario dei cantoni subalpini del Nordest, dove gli immigrati sono meno di uno su dieci abitanti, ma i nazi proliferano. Sigle sempre nuove: Hammerskin, Morgenstern, Nationale Initiative, Patriotische Ostfluegel, Sangue e Onore, Kameradenschaftensbund. Oggi l'allarme sta in Germania, ma essi non stanno solo nel mondo tedesco. I giornali italiani ne parlano poco, e rischiano il presbitismo. In Svezia, i giovani di Potere bianco hanno ammazzato prima due poliziotti e poi un sindacalista impegnato con gli immigrati; la musica razzista del gruppo Ultima Thule vende centinaia di migliaia di Cd. Nelle tolleranti democrazie scandinave, le teste calve e il mercato di chincaglieria simbolica che le circonda trovano straordinari spazi di impunità. In particolare in Danimarca, dove i nazi hanno le loro centrali di propaganda al riparo dalla legge tedesca. In piazza e via Internet la mitologia hitleriana è apertamente diffusa: in America dal gruppo Aryan Nations di Shaun Winkler; in Francia i nazionalisti di Le Pen finanziano gruppi antisemiti e si collegano a numerose organizzazioni neonaziste d'Europa. In Inghilterra, il National Party è fiancheggiato da gruppi dell'ultradestra anti-ebraica. Sempre più spesso, li trovi in Paesi che furono avversari del nazismo. In Polonia, per esempio, invasa da Hitler nel '39, i fanatismi hitleriani esplodono fra le teste calve ai margini di una società cattolica di forte tradizione antisemita. È ovvio che quei naziskin cercano le sue svastiche e le sue aquile solo perché, nel loro bricolage ideologico, trovano nella Germania, come nel bancone di un supermercato, il serbatoio di simboli più forti e a portata di mano. E allora ecco farsi avanti un'impressione strana. Quella che il pericolo maggiore si annidi proprio fuori dalla Germania, dove la presunzione di diversità dal nazismo può alimentare illusioni innocentiste e inibire analisi serie. E che l'allarme-Germania esista perché è stata la Germania stessa a lanciarlo, impaurita com'è dal proprio passato. È accaduto anche con Haider. Forse, se la società civile austriaca non ne avesse denunciato il pericolo, l'Europa non se ne sarebbe accorta. "È come se i fantasmi del passato tornassero in libera uscita proprio nei Paesi dove sono stati più a lungo chiusi a chiave", spiega il professor Claudio Bonvecchio, specialista di simboli in politica. In Germania Est, per esempio, dove il passaggio veloce dal nazismo al comunismo impedì - a differenza del'Ovest - una rielaborazione dell'Olocausto, bloccando ogni riflessione sulla colpa collettiva, e fornendo a tutti una patente antifascista a costo zero. Ed ecco che, dietro alle Kameradenschaften, dietro alle pattuglie di picchiatori che terrorizzano Eisenach o Dessau, Wenigerode o i dormitori periferici di Magdeburgo, non c'è solo quello, la disoccupazione, la delusione per una Riunificazione imperfetta e a due velocità, la nostalgia per un mondo dove tutto era in ordine, in bianco e nero. Non c'è solo l'abitudine all'obbedienza, a un'autorità suprema cui tutto è delegato e che risolve i conflitti in modo repressivo. C'è anche altro. Ci sono cinquant'anni di amnesia sul nazismo, e quindi una presunzione di innocenza che ha consentito al virus di restare in vita. Quel virus non è l'ideologia nazista, ma qualcosa di più ancestrale. La xenofobia, annidata in un habitat perfetto. Ibernata in un altro totalitarismo, libera da complessi e controlli. Quando, in nome dell'amicizia dei popoli, la Germania Est "importò" alcune migliaia di lavoratori da altri Paesi comunisti come Cuba, il Vietnam o l'Angola, quegli stranieri furono nascosti ai tedeschi e segregati in spazi privi di comunicazione col mondo. Dei lager, praticamente. Sempre in nome della fratellanza universale, quegli Ausländer furono obbligati a non avere contatti con tedeschi, a non sposarsi, a non avere bambini. Ma quando cadde il Muro, anche quei piccoli muri dentro la Rdt caddero. E allora angolani, caraibici e vietnamiti uscirono dai ghetti e chiesero di vivere, oltre che di lavorare. Ma subito videro che intorno c'era un mondo che non aveva mai conosciuto stranieri, che li vedeva per la prima volta, e che spesso li detestava. I nuovi naziskin sono i figli di questa cultura. "La cosa più impressionante", conferma Christine Bergmann, ministro federale per la famiglia, "è che questi ragazzi si sentono esecutori della volontà dei loro genitori". Eppure, quando credi di avere isolato il virus, appena ne scopri le radici in una società povera, totalitaria e spesso spaesata dal mercato, ecco i canti della Neue Waffe, la nuova ondata musicale razzista, levarsi anche dai Länder ricchi dell'Ovest, a Düsseldorf come a Ludwigshafen. "Grazie Hitler, grazie Goering / che la loro forza non ci abbandoni / contro la grande trama ebraica!". Ecco le urla lacerare persino le notti brumose del Baltico, nelle terre protestanti, timorate e prussiane, nello Schleswig-Holstein e persino nella libera città-stato di Amburgo. "Combatto per la mia razza / per il mio sangue! / Non c'è posto / per tutti questi immigrati! / Eutanasia, eutanasia!". Allora ti accorgi che la peste accomuna i perdenti e i vincenti della globalizzazione, viene dalla stessa subcultura che affianca i sazi e gli impauriti, da un identico humus che fermenta sia nei villaggi tristi dell'Est sia nel ventre grasso del Continente. La realtà ce la ricorda Jochen Tschiche, attivista dei Verdi nell'ex Rdt: in Germania come in Italia, in Spagna come in Francia, la diffidenza o la paura verso ciò che è straniero si è spostata dall'estrema destra al centro della società. Come dire: c'è un potenziale xenofobo pericolosamente diffuso anche tra i benpensanti, un mormorio di fondo che cresce nella provincia europea, trova eco nei giornali, dalla pianura padana all'Ile de France. Una bomba a tempo costruita da un ceto medio che economicamente ha sempre più bisogno di immigrati, ma culturalmente ha sempre meno la capacità di assorbirli. "Kinder statt Inder!", vuol dire: "Bambini, non indiani". È la risposta all'idea del cancelliere Schröder di offrire il permesso di soggiorno ai tecnici indiani di cui la Germania ha bisogno. Sarà anche uno slogan della Npd, il partito di estrema destra di Ugo Vogt, che offre un "ombrello politico" alle teste rasate. Ma è anche - si scopre - uno slogan dei democristiani tedeschi, i primi a chiedere la messa al bando del partito della Npd. "Dico le stesse cose di Le Pen e Berlusconi", protesta Vogt, e ha qualche ragione a parlare di ipocrisia. Sul piano delle parole, la parentela con i populismi europei è impressionante. Bossi, che con Berlusconi si propone di governare l'Italia, sostiene che esiste una congiura massonica e capitalista che, attraverso la denatalità e gli immigrati, punta a distruggere le patrie e la religione. Le Pen grida che la globalizzazione e il suo cavallo di Troia, l'Europa Unita, porteranno l'identità francese nel baratro. In Svizzera il capo dei populisti Christoph Blocher, un miliardario che si dichiara di centro e "incompatibile con Haider", si serve dei turchi nelle sue fabbriche e poi si presenta agli elettori col manifesto di un turco che lacera la bandiera elvetica. Anche Berlusconi, Bossi e Fini si affannano a proclamare la loro estraneità da Haider, salvo sparare smargiassate haideriane su clandestini e potere della magistratura. In realtà, sottolinea Joe Berghold, sociologo viennese che ha studiato sia Haider che Bossi, gli estremisti sono perfettamente funzionali al sistema globalizzato che dicono di detestare: servono "a un'economia che ha bisogno di avere immigrati impauriti, per poterli pagare meno". Ma non basta: il trucco ha anche una ricaduta politica. Gli immigrati tenuti ai margini della società, a loro volta, impauriscono gli elettori e li spingono verso Destra. Ma il gioco è pericoloso, fa esplodere delitti spaventosi, rivela che gli italiani non sono solo brava gente: a Verona un professore di origini ebraiche pestato a sangue da un commando di sconosciuti, un maghrebino massacrato in una discoteca di Modena, barboni incendiati per divertimento a Roma e dintorni. È come se si fosse rotta una diga nei valori. Scrive Claudio Magris: "Non credo che il fascismo possa tornare, ma se tornasse troverebbe, temo, poca resistenza. Si ha la sensazione che sia venuto a mancare quell'ethos condiviso che unisce chi crede nella libertà e nell'umanità, e rende più facile, quasi inevitabile, resistere al Leviatano". "Gli intellettuali sono spiazzati da questi movimenti ventrali della società", lamenta Marie Claire Caloz Tschopp, filosofa ginevrina che denuncia da anni il rischio di una risposta solo poliziesca al problema immigrazione. "Soprattutto la Sinistra non sa sciogliere un nodo che non è riconducibile alla geometria di una bella equazione ideologica. In questo campo, il mondo delle idee magari rassicura, ma inganna. Comprende il cervello, ma non lo stomaco". Così, ci si limita a dire mai più, "Plus jamais ça", ci si riduce all'appello morale o all'esortazione pedagogica. C'è un vuoto politico, incalza Bonvecchio. "Le democrazie non sono più in grado di produrre valori forti e capaci di mobilitare i giovani; i ceti medi non hanno più la cultura e i simboli per opporsi alle rune del totalitarismo". E allora, di fronte allo spaesamento delle Heimat, alle tempeste identitarie di questa era globale, "quelle vecchie rune, quei simboli generici di cui nemmeno i neonazi sanno il significato, possono riattivare il loro maledetto potenziale di attrazione nel ventre di una società impaurita".





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http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Marzo-2000/0003lm04.01.html



CRISI SOCIALE, BLOCCHI POLITICI E XENOFOBIA
Le estreme destre d'Europa, populiste e "rispettabili"

L'evoluzione delle vicende austriache (leggere a pagina 3) lo conferma: l'estrema destra non è mai sparita dal paesaggio europeo. Mentre alcuni movimenti esclusi dal sistema elettorale, come in Scandinavia o in Gran Bretagna, hanno fatto ricorso al terrorismo, gli altri prosperano sull'evanescenza del divario destra/sinistra, che priva di senso la rappresentanza politica. Il problema allora non è tanto il presunto riaffiorare del "fascismo" quanto l'anestetizzazione di una democrazia attuata attraverso il consenso politico-economico.

di Jean-Yves Camus*
La scissione del Fronte Nazionale francese e il tracollo delle estreme destre alle elezioni europee del 13 giugno 1999 avevano dato l'impressione che il loro declino fosse ormai iniziato. Ma da allora, diversi risultati elettorali hanno contraddetto questa previsione. Il 3 ottobre 1999 il Partito liberale dell'Austria (Freiheitliche Partei àsterreichs FpÜ) di JÜrg Haider è diventato il secondo partito austriaco, con il 26,9%; il 24 ottobre in Svizzera, l'Unione democratica del centro, partito agrario conservatore diretto da Christoph Blocher, ha ottenuto il 22,5% dei voti, affermandosi così come primo partito del paese, a parità con i socialisti (1); e mentre la Deutsche Volksunion (Dvu) entrava nei parlamenti di vari Lènder della Germania Est, in Norvegia, alle elezioni comunali del 14 settembre 1999, si è confermata la lenta avanzata del Partito del progresso (13,4%, con un aumento dell'1,4%).
Nell'Europa occidentale, i persistenti successi elettorali dei partiti xenofobi sono legati al progredire di una concezione ultraliberista dell'economia e della società, caratterizzata tra l'altro dalla netta volontà delle élites politiche ed economiche di considerare superato il quadro degli stati-nazione. L'estrema destra europea ha acquisito così una base sociale, e si esprime oramai più attraverso le urne che con un attivismo violento. Quest'ultimo fenomeno rimane invece preoccupante nei paesi in cui le formazioni estremiste non trovano sbocchi elettorali, a causa di un sistema elettorale che penalizza i partiti "anti-sistema", come in Gran Bretagna (il micidiale maggioritario uninominale a un solo turno) oppure, come in Svezia, a causa della fortissima pressione sociale, tendente a emarginare le idee non consensuali. Inoltre, qui come altrove il frazionamento organizzativo e l'assenza di dirigenti carismatici possono impedire al movimento di catalizzarsi.
Così, a fianco dei partiti legali o anche al loro interno (non è rara la doppia appartenenza dei militanti) si manifestano da alcuni anni gruppuscoli violenti, di ideologia apertamente neonazista e razzista. Secondo l'analisi dei politologi Jeffrey Kaplan e Leonard Weinberg (2), queste formazioni hanno imitato, sia nelle idee che nei metodi d'organizzazione e d'azione, alcuni gruppi terroristici americani (The Order, Aryan Nations); e come ha dimostrato la campagna d'attentati in Svezia hanno acquisito una certa capacità di attuare azioni di considerevole rilievo.
Questi pericolosi movimenti compresi anche quelli degli skinheads non hanno tuttavia innescato dinamiche politiche o sociali, se si eccettuano i gruppi giovanili dei Lènder della Germania orientale. Nei paesi in cui si esprimono, questi gruppi violenti si riferiscono esplicitamente all'ideologia del nazionalsocialismo o dei vari fascismi, e utilizzano i loro simboli, sfidando spesso i divieti. Ma questa famiglia dell'estrema destra è oramai minoritaria, mentre i successi maggiori vanno ai partiti populisti e xenofobi. Nella maggior parte delle democrazie occidentali quest'estrema destra elettoralmente rappresentativa, che tra il 1945 e gli anni 80 era confinata all'Italia e alle dittature dell'Europa meridionale, si afferma sul terreno di una crescente povertà di massa, in una società che evolve verso il "multi- culturalismo". L'immigrazione è caratterizzata in effetti da ondate di naturalizzazioni e di sanatorie, accompagnate, in numerosi paesi, dalla concessione della cittadinanza e dei diritti politici, oltre che da una politica di riconoscimento giuridico dei diritti delle lingue e culture minoritarie.
Il centro di gravità della nebulosa estremista, che negli anni 60 e 70 si collocava nei paesi in via di industrializzazione, si è spostato oggi verso il centro e il nord dell'Europa.
Parallelamente, al Movimento sociale italiano (Msi), partito-faro dell'estrema destra di allora, si è sostituito negli anni 80 e 90 il Fronte nazionale francese (Fn), che ha ispirato in altri paesi numerose formazioni, con esiti variabili, quanto meno nell'Europa occidentale: successi reali ma effimeri (l'Fn belga di Daniel Ferret), non trascurabili ma insufficienti a eleggere rappresentanti (la Sverigedemokraterna, Svezia), oppure nella maggioranza dei casi del tutto marginali (Democracia nacional in Spagna, Fronte nazionale in Italia).
Dopo la scissione e il calo elettorale, il partito di Jean Marie Le Pen non è più un modello incontestato.
Elettori venuti da sinistra Oggi però una terza ondata, più consistente, si incarna nei "populismi alpini" (Haider e Blocher, la Lega Nord di Umberto Bossi e quella dei ticinesi) e in quelli scandinavi (il Partito del progresso norvegese di Carl Hagen e il Partito del popolo danese di Pia Kjaersgaard) (3). Questi partiti non hanno alcun collegamento con il fascismo e il nazismo (ad eccezione di quello di JÜrg Haider); postulano uno stato ridotto ai minimi termini; sono xenofobi, ma nei loro discorsi ufficiali respingono il razzismo gerarchizzante e l'antisemitismo; rifiutano di cooperare con formazioni che giudicano estremiste, quali l'Fn o il Vlaams Blok, ma accettano l'idea di governare in coalizione con la destra. Poiché questi partiti non corrispondono al fascismo tradizionale, i fattori di tipo "essenzialista" (mancata denazificazione in Austria, xenofobia di antica data in Svizzera) non bastano a spiegare il loro successo; e non spiegano neppure i buoni risultati ottenuti da formazioni di tipo "misto" (tra recupero del voto di protesta e filiazione di estrema destra) quali l'Fn francese o il Vlaams Blok (4). Quest'ultimo, ad esempio, è stato spesso descritto come erede della frangia filo-nazista del movimento fiammingo d'anteguerra. Ma il politologo Marc Swyngedouw ha dimostrato che solo il 4-5% degli elettori "blokkers" adducono come motivazione della loro scelta la difesa del nazionalismo fiammingo, mentre tra chi ha dato il suo voto alla Volksunie questa percentuale raggiunge il 17%.
Anche qui, come nell'Fn, si nota quindi una distinzione fondamentale tra un inquadramento ancora segnato, nella sua traiettoria come nelle convinzioni dei suoi militanti, dall'estrema destra tradizionale, e un elettorato che ne è del tutto distaccato, e proviene anzi in parte dalla sinistra. Nelle Fiandre, il 21% dei giovani elettori che nel 1991 avevano votato socialista sono passati in seguito al Blok; e alle legislative del 1999, l'FpÜ austriaco ha sottratto al partito socialdemocratico (SpÜ) circa 213.000 voti. In Danimarca, il 10% di coloro che nel 1998 avevano votato per la Dansk Folkeparti (partito del popolo danese) provenivano dai ranghi socialdemocratici.
A ciò si aggiunge il fatto che spesso i dirigenti di queste formazioni non hanno affatto un passato estremista: Mogens Camre, dirigente della Dansk Folkeparti, era un deputato socialdemocratico; neppure Thomas Prinzhorn, astro nascente dell'FpÜ, ha un passato ultrà, ma è stato come del resto Blocher dirigente aziendale. La differenza è notevole rispetto al Movimento nazionale repubblicano (Mnr) di Bruno Mégret, e spiega in parte l'insuccesso del suo tentativo di acquistare consensi tra gli elettori della destra classica: non soltanto la scissione dall'Fn non ha dato luogo a svolte ideologiche di sorta, ma l'Mnr, che pure si presentava come partito rinnovatore, dissociato dagli eccessi lepenisti, è di fatto guidato da elementi impregnati di un'ideologia nazionalista rivoluzionaria (il movimento "Terre et Peuple" di Pierre Vial) o delle tesi identitarie della "nuova destra" degli anni 70.
Si contrappongono dunque due concezioni della lotta politica: da un lato la testimonianza storica, generalmente a partire da posizioni controrivoluzionarie o nostalgiche, o da forme di integralismo religioso; dall'altro l'accettazione di una modernizzazione programmatica e organizzativa per la conquista del potere. E i partiti che non si sono aggiornati finiscono per emarginarsi e trasformarsi in gruppuscoli: L'Msi-Fiamma tricolore italiano, che aggrega i refrattari all'aggiornamento imposto da Gianfranco Fini nel 1995, non supera oggi l'1,6% dei voti. Le formazioni che non hanno altro programma al di fuori della difesa e celebrazione dei regimi autoritari (Spagna, Portogallo; Grecia) sono praticamente scomparse (5).
I "populismi" xenofobi (6) hanno sfondato soprattutto tra le categorie di popolazione più minacciate nel loro status sociale e occupazionale. A questo riguardo, la situazione francese, con l'Fn che alle legislative del 1997 ha raggiunto anche il 30% in talune circoscrizioni, non rappresenta un'eccezione. E' una tendenza ben percepibile anche tra i giovani (il 33% sotto i 35 anni in Francia, il 35% sotto i 30 in Austria).
Questa situazione può essere spiegata attraverso la cosiddetta teoria degli "interessi economici minacciati" o degli "interessi simbolici": le fasce di popolazione a rischio a causa della crisi percepiscono la manodopera estera come concorrente, e tendono a votare per le formazioni xenofobe che promettono di assicurare loro in esclusiva il beneficio del diritto al lavoro e altri diritti fondamentali. Sono infatti gli operai o impiegati meno qualificati a costituire il grosso dell'elettorato del Vlaams Blok; e nel 1999, il 48% degli operai austriaci ha scelto l'FpÜ, divenuto ormai di gran lunga il primo partito rappresentativo dei "colletti blu". Quanto ai Republikaner tedeschi, il politologo Patrick Moreau sottolinea "la correlazione della scelta estremista con un basso livello di organizzazione sindacale, l'esperienza della disoccupazione, l'appartenenza a una famiglia numerosa e la dipendenza dall'aiuto sociale", valutando al 17% la base operaia del partito alle elezioni regionali del 1996.
Al contrario, in Danimarca e in Norvegia, dove l'estrema destra ottiene rispettivamente il 9,8 e il 15,3%, non è stata individuata nessuna correlazione tra la disoccupazione e il voto per questi partiti. Eppure, il loro elettorato è costituito, oltre che da imprenditori e lavoratori autonomi, anche da una proporzione crescente di operai: in questi due paesi, i rispettivi Partiti del progresso sono anche i primi partiti operai e hanno sorpassato i socialdemocratici. Una delle possibili spiegazioni è che nei paesi in cui lo stato sociale ha fatto grandi passi avanti non solo grazie ai socialdemocratici, ma anche sotto governi "borghesi", la fedeltà della classe operaia nei confronti della sinistra tende ad erodersi, lasciando prevalere la componente autoritaria di una frazione della cultura operaia, che non trova altra incarnazione al di fuori della nuova destra.
Esiste quindi un paradosso da spiegare: un elettorato essenzialmente popolare vota per formazioni appartenenti all'estrema destra "post-industriale", accomunate dal fatto di incorporare nei loro programmi, in proporzioni variabili, il fattore "nazionale", accanto ad elementi neoliberisti o anche libertari.
Ad esempio, il programma economico dell'FpÜ raccomanda una completa "deregulation economica, che garantisca la competitività e la prosperità dell'economia austriaca e la creazione di posti di lavoro". Quello dell'Udc condanna "il ricorso abusivo alle prestazioni sociali", e chiede "orari di lavoro e sistemi salariali flessibili", nonché "la soppressione di talune prestazioni dello stato", il tutto ovviamente accompagnato da un "sistema fiscale vantaggioso per tutte le imprese". Anche i partiti scandinavi hanno avuto origine dalla protesta contro il fisco e dalla volontà di limitare le prerogative dello stato sociale: una tematica che si ritrova nell'ala liberale minoritaria del Vlaams Blok, diretta dalla deputata Alexandra Colen.
La Lega Nord, dal canto suo, costituisce un fenomeno più complesso, che può essere interpretato come la risposta delle classi medie emergenti e dei piccoli imprenditori dell'Italia settentrionale a una situazione nella q

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