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Guernica
by Ze'ev il Sionista Wednesday, Apr. 20, 2005 at 4:23 PM mail:

Non conoscevo questi dettagli...E' un articolo del 2003 ma e' sempre interssante...

Corriere della Sera. 28 dicembre 2003

Guernica, la verità dietro la leggenda


di Vittorio Messori



Come ogni italiano consapevole, ho gratitudine per il lavoro ormai più che secolare del Touring Club. Gratitudine unita a stima, per la cura e il rigore delle sue pubblicazioni. Ma persino i migliori hanno le loro sviste. Così, di recente, il Touring ha allegato una guida di Madrid a un settimanale di larga diffusione. Due pagine intere sono dedicate alla grande tela esposta al museo Regina Sofia, al quadro probabilmente più celebre del XX secolo, davanti al quale sfila una colonna continua che si direbbe non di turisti bensì di pellegrini reverenti. Ma sì, il Guernica di Pablo Picasso. I due che firmano il testo della guida Touring ripetono le cose che stanno in tutti - o quasi - i libri di storia. Sacra ai Baschi, la piccola Guernica «viveva - ci dicono - senza particolare apprensione lo svolgimento della guerra civile, dal momento che la sua importanza strategica era praticamente insignificante». Ma il 26 aprile del 1937, nugoli di aerei della Luftwaffe, quelli della Legione Condor in appoggio a Franco, «scatenarono su quel centro privo di difese uno spaventoso bombardamento. Per tre ore infuriò la tempesta di fuoco e dalle macerie vennero estratti i corpi senza vita di 1650 persone, mentre 800 furono i feriti. Era la prima volta nella storia che piloti di aerei da combattimento colpivano civili inermi».
Non c'è da infierire contro i redattori del glorioso Club: quella che espongono non è che la vulgata corrente ripetuta infinite volte, senza varianti e senza verifiche. Per quanto mi riguarda, già anni fa, sul quotidiano cattolico, avevo tentato di incrinare il conformismo, mostrando che le cose, a Guernica, si erano svolte in modo assai diverso. Quell'articolo, raccolto poi in un libro, aveva scatenato reazioni irose. Molti, tra l'altro, avevano trovato irriverente il fatto che ricordassi quanto sostengono alcuni. Il celeberrimo quadro di Picasso, cioè, sarebbe nato come Lamento en muerte del torero Joselito : appassionato di corride, colpito dalla morte di un suo beniamino, il pittore di Malaga aveva cominciato a dipingerne la fine nell'arena, quando il governo social-comunista spagnolo gli offrì 300.000 pesetas (provenienti da Stalin attraverso il Comintern) per un'opera da esporre a Parigi. La tela sarebbe stata quindi modificata per adattarla alla lucrosa commissione, dandole il nuovo nome di Guernica : restarono, però, i tori e il cavallo del picadòr che, ferito, nitrisce verso il cielo.
Ma, al di là dei pettegolezzi artistici, la verità sul bombardamento della cittadina basca è ormai accertata, eppure non riesce a superare le barriere ideologiche. È curioso, tra l'altro, che, dopo la pubblicazione del mio articolo, ricevessi la lettera commossa di un anziano: giovanissimo pilota italiano, quel lontano pomeriggio di aprile era nel cielo di Guernica ed era grato che qualcuno, finalmente, avesse tentato di andare oltre tante inesattezze se non menzogne. Come sia andata davvero è ricostruito, con rigore di documentazione, anche in quello che è stato il maggior bestseller del 2003 in Spagna. In un imponente volume di 600 pagine, dal titolo Los mitos de la Guerra Civil - e che ha avuto in pochi mesi più di venti edizioni - lo storico Pio Moa, già militante nel Partito comunista spagnolo e poi addirittura membro del Grapo, il gruppo terroristico, ha demolito molte leggende. E lo ha fatto con spirito bipartisan , non lesinando colpi sia ai franchisti che agli antifranchisti. Per quanto riguarda el mito de Guernica , si dimentica sempre che l'azione fu condotta in buona misura dall'Aviazione Legionaria italiana che aveva in volo, quel giorno, tre moderni trimotori S79 e 15 caccia CR32, mentre la Legione Condor intervenne più tardi e con pochi Junker di vecchio tipo, certamente inferiori ai bombardieri che i russi impiegavano sulle città franchiste senza risparmio. Se, in tutte le rievocazioni, non si parla che dei tedeschi, fu perché la leggenda è in gran parte opera delle corrispondenze fantasiose di un inviato inglese, George L. Steer, che, volendo spronare il suo Paese al riarmo, inventò una potenza terrificante della Luftwaffe, favoleggiando anche di nuovi esplosivi sperimentati dai tedeschi. In realtà, su Guernica furono lanciate, da italiani e tedeschi, bombe «normali» e l'obiettivo principale non era l'abitato ma il ponte di Renterìa, sul fiume Oca. È falso, infatti, che la città - ormai a soli 20 chilometri dal fronte - non fosse un importante obiettivo strategico: ospitava due fabbriche d'armi e vi erano concentrati tre battaglioni, con 2.000 soldati «repubblicani» e imponenti depositi di artiglieria. Una menzogna inventata da Steer (ed entrata poi in tutti i libri di presunta storia) è che si sia fatta strage di contadini perché, come ogni lunedì, era in corso il tradizionale mercato. In realtà, proprio perché la città era ormai immediata retrovia, il mercato era stato sospeso: in ogni caso, i primi aerei italiani apparvero dopo le 16,30 (e il mercato finiva a mezzogiorno) e il passaggio degli Junker germanici avvenne solo due ore dopo. Commissioni internazionali di inchiesta hanno addirittura disegnato la mappa dei crateri delle bombe, confermando che poche caddero sulle case e le altre attorno al ponte. Tutti i testimoni concordano che, al termine del bombardamento (non ci furono mitragliamenti sui civili, come si favoleggia) Guernica era in piedi e solo il 10 per cento delle case era danneggiato. Alcune di quelle case, però, bruciavano: il ritardo nell'arrivo dei pompieri da Bilbao, il fatto che l'architettura tradizionale fosse in legno, un forte vento, favorirono un incendio che portò al rogo del 70 per cento della città. Gli stessi abitanti inveirono contro i soldati dell’esercito «rosso» che si segnalarono per inerzia. Anche i pompieri se ne tornarono presto in città, col pretesto che era ormai inutile affaticarsi e che avevano altro da fare.
Quanto ai morti: proprio il giorno prima l'aviazione italiana aveva bombardato la vicina città di Durango, facendo quasi 200 morti (e ne farà migliaia nelle incursioni dell'anno seguente su Barcellona e migliaia ne fecero i «rossi» su Saragozza). A Guernica, non solo Pio Moa ma molti storici prima di lui hanno indagato in ogni modo, sottoponendo a verifica tutte le cifre. È ormai sicuro, e confermato dai registri comunali, che la somma totale è di 102 deceduti (molti dei quali militari), di 120 al massimo secondo altri, e i feriti furono solo 30. Siamo, dunque, a cifre almeno 14 volte minori dei 1650 deceduti e degli 800 feriti della vulgata ripetuta dal Touring Club, come da tutti, in tutto il mondo. Nota Moa che «è impressionante vedere come di un evento di certo doloroso ma niente affatto straordinario in una guerra che fece quasi un milione di morti, si sia riusciti a fare uno dei miti internazionali più intensi e impenetrabili alla critica». In quei tre anni terribili, infiniti altri episodi furono ben più tragici, ma a Guernica la propaganda, unita all'indubbio talento di Picasso, riuscì in un capolavoro che non ha ancora esaurito il suo vigore.

© Corriere della Sera

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complimenti
by mazzetta Wednesday, Apr. 20, 2005 at 4:49 PM mail:

Si sente subito, dall'orgoglio con il quale l'autore rivendica la presenza di aerei italiani, da che pulpito venga questo pattume.

Eppure di solito i fanatici di militaria sono patriottici, ma Messori attribuisce al suo stesso paese oltre mille morti, senza apparente imbarazzo e con malcelato orgoglio aviatorio.
Non merita commenti il fatto che cerchi di nascondere questa responsabilità dando la colpa -AI POMPIERI!-

Provi l'astuto a pensare se il 9/11 non fossero arrivati i pompieri, cosa direbbe ad un -terrorista arabo - che reclamasse la loro inefficienza?
Che faccia farebbe l'assurdo notista se si trovasse davanti Bin Laden che dice che la colpa del collasso delle torri fu dei pompieri di n.y.c.?

Che volgarità, che sciatteria, che mancanza di senso delle proporzioni, pessima prestazione del Corriere; in questo periodo covo di revisionisti incapaci.
Per troppo zelo anticomunista, o per l'astio verso l'icona immortale del sacrificio delle popolazioni civili, santificata dall'arte nell'immaginario degli avversari, Messori perde ogni senso della misura e si rivela imbarazzante.

Tutti cattivi nessuno cattivo, ancora una volta il trucco per sorvolare su responsabilità gravissime.
Non solo i morti di Guernica, non solo la guerra golpista scatenata dai fascisti, non solo la Spagna consegnata al fascismo fino alla morte di Franco, ma la prima manifestazione della barbarie nazifascista, la prova generale della Seconda Guerra Mondiale.

Guernica è un trucco, una illusione che cela la colpa dei pompieri e del governo rosso della città; me la segno.

Credo che Messori si dovrebbe scusare con la gente di Guernica, e non solo con loro.

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bravo Mazzetta!
by Fabio Mosca Wednesday, Apr. 20, 2005 at 6:41 PM mail:

sottoscrivo in pieno quanto hai scritto.
Il revisionismo ormai supera se stesso. L' "Orgoglio per tutta la nostra storia" di Ciampi ha applicazione anche per la "gloriosa guerra di Spagna" , a quanto pare!

E' la nuova classe intellettuale venuta da Faurisson in poi a riscrivere la storia. Ho anche letto ad esempio su un sito di storia militare che l'Italia (fascista non importa!) intervenne in Jugoslavia a protezione dei cetnici serbi sterminati dagli Ustascia, e che furono i Tedeschi i soli a proteggere gli ustascia...Ed i nemici comuni di tutti, come ovvio, erano i comunisti "titini".
E fu la stupidità dei Tedeschi che impedì lo sterminio di questi, considerati come gli unici criminali veri da combattere...

Guerra alla verità residua!

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Vittorio Messori é solo un vigliacco !!!
by r Wednesday, Apr. 20, 2005 at 6:43 PM mail:

 Vittorio Messori  é...
gernika-bombardeo.jpg, image/jpeg, 1065x777

In realtà, proprio perché la città era ormai immediata retrovia, il mercato era stato sospeso ????

Ma per questo hanno ataccato queste giorno , perche pasevano che era un giorno di mercato ,ma quale sospeso !!!

http://euskalherria.indymedia.org/eu/2003/03/5300.shtml


Il celeberrimo quadro di Picasso, cioè, sarebbe nato come Lamento en muerte del torero Joselito ????

http://sepiensa.org.mx/contenidos/l_guernica/guernica2.htm


TESTIMONIO DEL BOMBARDEO DE GERNIKA

http://www.pce.es/foroporlamemoria/documentos/gernika_dic2003.htm

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vergogna per l'Italia, allora!
by Fabio Wednesday, Apr. 20, 2005 at 8:12 PM mail:

invece di vergognarsi si esalta la "nostra" gloriosa aviazione!

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I nostri eroi
by altro che palle Thursday, Apr. 21, 2005 at 1:01 AM mail:

dica pure Messori quel che vuole

"La retirada"
L'odissea di cinquecentomila repubblicani spagnoli dopo la fine della guerra civile

"l'impegno", a. XVII, n. 2, agosto 1997
© Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli.
È consentito l'utilizzo solo citando la fonte.



L'esodo

Con il termine retirada gli storici indicano l'esodo di circa cinquecentomila spagnoli, uomini, donne e bambini, dalla Spagna alla Francia tra la fine di gennaio e i primi giorni di febbraio 1939 per sfuggire alle incalzanti truppe franchiste, che il 23 dicembre 1938 avevano iniziato l'offensiva contro la Catalogna, penultimo atto della tragedia che, iniziatasi con l'alzamiento del 18 luglio 1936, avrebbe chiuso, con la caduta di Madrid e Valencia alla fine di marzo, l'esperienza della Repubblica spagnola.
La fuga iniziò quando apparve chiaro che le truppe della Repubblica, ormai senza armamento pesante, non avrebbero resistito ai franchisti ed agli italiani che attaccavano la Catalogna da sud e da ovest. Era la conseguenza della strategia di Franco, che aveva anteposto alla rapidità delle operazioni militari il principio di infliggere il "castigo" a quanti si erano schierati con la Repubblica, la cosiddetta limpieza, che tanta indignazione suscitò nell'opinione pubblica mondiale, ma che ottenne lo scopo prefissato di terrorizzare non solo le disorganizzate milizie repubblicane, ma anche i civili, per le violenze e vessazioni a cui venivano sottoposti.
Una testimonianza agghiacciante del clima di terrore imperante nelle carceri franchiste ci è fornita da Arthur Koestler nel suo libro "Dialogo con la morte", dedicato ad un oscuro giovane miliziano andaluso, fucilato il 14 luglio 1937, nel sesto anniversario della Repubblica. Egli descrive con crudo realismo la superficialità dei processi, la rapidità delle condanne, il prelevare durante la notte i predestinati al plotone di esecuzione, le preghiere del prete accompagnate dal campanello del Sanctus, le invocazioni di aiuto e le maledizioni accompagnate da bestemmie.
Ma se Koestler era uomo di parte, così non si può dire di scrittori di cultura cattolica, quali Jacques Maritain e Georges Bernanos. Il primo prese una posizione netta di distacco dalla cruzada e la condannò come anticristiana senza mezzi termini, il secondo descrisse, ne "I grandi cimiteri sotto la luna", le stragi commesse dai franchisti a Maiorca sotto la regia del generale della milizia Bonaccorsi e la benedizione del vescovo di Palma, Miralles Sbert.
Molte furono, in particolare nei giorni successivi all'alzamiento, le uccisioni perpetrate nella Spagna repubblicana, di massima ad opera degli anarchici contro religiosi e borghesi, ma molto più pesante fu la risposta dei franchisti, i cui eccidi furono sistematici e terribili in tutte le città e villaggi via via conquistati.
Le notizie delle migliaia di assassinati di Maiorca, Bajadoz, Granada e Malaga spinsero le genti di Catalogna ed i profughi delle altre province spagnole già in mano ai nazionalisti ad abbandonare Barcellona e gli altri centri.
Circa duecentomila tra donne, bambini ed anziani, insieme a feriti e militari sbandati, si avviarono verso il Nord, in un fiume eterogeneo di animali e mezzi di trasporto, sotto la costante minaccia dell'aviazione fascista italiana che si accaniva contro questa massa inerme. La loro meta era la Francia, che rappresentava l'estrema possibilità di salvezza, da raggiungere attraverso i Pirenei.
In una confusione estrema i fuggiaschi si riversarono verso tutti i posti di confine, in gran parte utilizzando le strade che collegavano la Spagna alla Francia, ma molti percorsero sentieri di montagna, superando colli alti anche oltre duemilacinquecento metri. Dopo i civili fu la volta di quanto restava dell'armata della Catalogna (circa duecentocinquantamila uomini) e delle personalità della Repubblica tra cui i quattro presidenti. Gli ultimi reparti organizzati a ritirarsi furono gli anarchici della 26a divisione "Durruti", che il 10 febbraio transitarono sul ponte di Llivia; altri sarebbero ancora giunti alla spicciolata, filtrando attraverso le maglie dei franchisti, che il 12, occupando il colle d'Ares, avevano completato la conquista della Catalogna.

L'accoglienza

Fu tragedia nella tragedia; al dolore di dover lasciare il proprio Paese, al terrore di essere catturati dai franchisti, all'angoscia per i congiunti sotto le armi, alla delusione per la fine di un sogno di maggior giustizia, appena passato il confine dopo infinite difficoltà, si aggiunsero le vessazioni delle guardie di frontiera, l'abbandono senza riparo nelle notti gelide, il disprezzo dei sorveglianti, l'insensibilità delle autorità, preoccupate, specie quelle militari, esclusivamente della loro sorveglianza, come se fossero delinquenti comuni. Sorveglianza affidata di massima alle truppe coloniali francesi, che riportavano alla memoria i tristemente famosi "mori di Franco", innervosite dai contrastanti ordini che arrivavano da Parigi.
Infatti nulla era definito, le disposizioni si sovrapponevano e si contraddicevano, inducendo i militari dislocati al confine a comportamenti disumani e sprezzanti specie nei confronti dei miliziani. Perquisiti, depredati delle poche cose di valore, disarmati e vaccinati, continuamente umiliati, strappando loro i fazzoletti che contraddistinguevano i reparti, forzati ad aprire il pugno in cui tenevano un po' di terra di Spagna, questo era il primo trattamento che ricevevano dalla Francia, culla dei diritti dell'uomo.
Hugh Thomas in "Storia della guerra civile spagnola" riporta che entrarono in Francia circa duecentocinquantamila militari, di cui diecimila feriti gravi, centosettantamila donne e bambini e settantamila civili, fra cui molti anziani, cifre che si avvicinano sia a quelle ufficiali che a quelle fornite da altre fonti.
Bloccati dal gelo dell'inverno, i profughi vennero trattati come bestie. Prima donne, bambini, anziani e feriti vennero raccolti in camps de collectage creati a ridosso dei Pirenei, lande fredde ed umide, battute dal vento, senza riparo dalle intemperie e scarso cibo.
Mont Louis, Prats de Mollo, Arles sur Tech, Boulou, La Tour de Carol, furono le prime tappe del calvario dei profughi. Man mano che altri disgraziati sopraggiungevano, i primi venivano smistati nei cosiddetti centri di accoglienza (caserme o conventi abbandonati) dislocati in quasi tutti i dipartimenti della Francia.
L'autorità che li dirigeva proveniva dall'amministrazione civile e il loro atteggiamento nei confronti degli spagnoli ne condizionava il trattamento e la disciplina.

Camps du Mepris

Ultimi ad essere autorizzati ad entrare furono i militari, che vennero trasferiti a piedi direttamente ai campi di concentramento in preparazione nei comuni prescelti e cioè: Argelès-sur-Mer, Saint Cyprien, Les Barcarès, Agde e Vernet les Bains (Pyréenes orientales), Mazières, Montaillou (Ariège), Gurs (Pyrénées Atlantiques), Bram (Aude), Septfonds (Tarn et Garonne).
Costretti in recinti delimitati dal filo spinato in appezzamenti di terreno fuori mano o sulle spiagge del Roussillon, essi scavarono delle buche nella terra e nella sabbia e le coprirono con teli, ramaglia e lamiere, bevvero l'acqua dei pozzi, fecero i loro bisogni nei boschi o sulla riva del mare, "la primiera linea de mierda".
I primi giorni furono i più difficili: il freddo, la fame, la mancanza di cure mediche determinarono circa quindicimila decessi, che colpirono in particolare i più deboli: vecchi, bambini e feriti. Neppure i morti ebbero la pietà di una sepoltura dignitosa, vennero infatti inumati nei pressi dei campi.
Negli stessi giorni in una modesta pensione di Collioure morì Antonio Machado, il massimo poeta contemporaneo spagnolo, che venne tumulato nel cimitero della cittadina francese, dove nel 1958, grazie alla colletta di intellettuali europei, ebbe il decoro di una tomba.
Oltre alla sorveglianza fu costante preoccupazione delle autorità francesi spingere al rimpatrio quanti più possibile o arruolare nella Legione straniera i combattenti repubblicani; questa alternativa era presentata quasi come un ricatto: "O la Legione o la Spagna".
Si stima che del mezzo milione circa di persone entrate in Francia ne rientrarono in Spagna in un primo tempo poco più di cinquantamila, a cui si aggiunsero più tardi altre decine di migliaia. La cifra totale dei rimpatri oscilla, a seconda delle fonti, da settantacinquemila a duecentottantamila.
Mentre avveniva tutto questo, a Les Perthus il generale francese Falcade accoglieva con il saluto militare ed una calorosa stretta di mano il generale franchista Solchaga, comandante dell'armata di Navarra. Al saluto degli ufficiali francesi gli spagnoli risposero con il saluto fascista e al canto di "Cara al sol" e "Per Dio, per la Patria e per il Re", inni falangisti e dei requetés.
Questo succedersi di avvenimenti, unitamente al vedere lunghi convogli ferroviari di materiale bellico bloccati nelle stazioni francesi, mentre essi avevano dovuto abbandonare quasi senza combattere la Catalogna per carenza di armamenti, creò nei rifugiati un senso di disgusto verso la Francia.
La solidarietà che li confortò venne da privati ed organizzazioni volontarie, non da istituzioni statali, condizionate dalle forze reazionarie che esercitavano pressioni volte a respingere i "rossi di Spagna".
Infatti era facile, in un periodo di crisi, rinvigorire la xenofobia latente e condizionare l'opinione pubblica facendo leva sul grave peso dei rifugiati per l'erario. Giornalisti come Leon Daudet, de "L'Action Française", e Henri Béraud, del "Gringoire", orientarono e diedero tono al dibattito domandandosi se la Francia doveva diventare "l'immondezzaio del mondo". Il governo Daladier, che nell'aprile 1938 aveva sostituito il governo delle sinistre presieduto da Leon Blum, emanò una serie di circolari limitanti prima l'entrata dei profughi (in un primo tempo solo donne e bambini e feriti gravi) e poi il soggiorno in Francia degli esuli, che via via proibirono "la residenza definitiva" o "la possibilità di esercitare qualsiasi mestiere".
Contro queste posizioni insorsero per fratellanza ideologica le forze progressiste, che promossero raccolte di fondi, e molte personalità culturali, religiose e politiche, che non potevano essere etichettate di sinistra, quali l'arcivescovo di Parigi, il presidente della Croce rossa francese, premi Nobel e scrittori famosi.

La vita nei campi

Lentamente la burocrazia si mise in moto - occorre ricordare che non esisteva all'epoca un'organizzazione logistica di soccorso capace di far fronte ad un esodo di dimensioni bibliche, comprendente migliaia di malati e feriti, di donne e bambini -, venne intensificata la costruzione degli indispensabili servizi igienici e di baracche di legno, che offrivano protezione dalle intemperie ma non dal freddo, dato che non erano dotati di stufe e il giaciglio era costituito da poca paglia.
La vita riprese. I malati ed i feriti furono separati dagli uomini validi e finalmente ricevettero le cure dovute. Per donne e bambini, di massima familiari dei miliziani, furono predisposti dei settori a parte denominati campo civil.
Nacque una parvenza di organizzazione: centoventi-centocinquanta uomini costituivano una "compagnia" agli ordini di un ufficiale, sette od otto compagnie costituivano un ilot (raggruppamento), che aveva un servizio di intendenza con cucina, infermeria e magazzino.
Le corvée vennero assegnate a rotazione, perché non tutte erano gradite, come la pulizia delle latrine. Furono aperti degli uffici postali, che curavano la spedizione e la consegna delle lettere sia per la Francia che per la Spagna.
Diversi internati venivano reclutati da agricoltori della zona per i lavori agricoli, per cui potevano giornalmente uscire dai campi e ricevere un modesto salario; dovevano però subire l'umiliazione di venire "scelti" come animali da fatica, con l'ispezione di mani e muscoli.
Via via le comunità si diedero un'impronta di vita civile, le strade furono distinte con nomi che nostalgicamente ricordavano la patria lontana, ad Argelès-sur-Mer sorse un mercatino, il Barrio chino, in cui era possibile trovare merce di prima necessità (lamette da barba, magliette, scarpe, sigarette), un'osteria, dove si poteva bere un bicchiere di vino e mangiare un'insalata, e con discrezione funzionava un bordello, "la casa de la Sevillana", dove cinque prostitute avevano ripreso la vecchia professione.
Ciò era favorito dal fatto che i rifugiati ricevevano dalle organizzazioni di aiuto repubblicane una piccola somma in denaro, che molti integravano lavorando presso i francesi o vendendo oggetti di loro produzione, fatti con i materiali più disparati.
Il vitto era discreto e abbastanza nutriente, degli altoparlanti diffondevano programmi musicali intervallati da notiziari sulla situazione in Spagna e nel mondo.
Ma ciò che li aiutò ad uscire dallo stato di inerzia, che il lungo tempo a disposizione concedeva loro dopo aver espletato le corvée giornaliere, fu l' "Università della sabbia".
Prendendo spunto da una circolare del Ministero dell'Interno, che dava istruzioni ai prefetti di istituire dei corsi di lingua francese, numerosi insegnanti ed intellettuali internati si dichiararono disposti ad iniziare dei corsi di istruzione di varie materie.
Malgrado la precarietà dei mezzi a disposizione, l'iniziativa, ottenuta l'approvazione delle autorità francesi, vide la partecipazione di circa l'ottanta per cento dei rifugiati.
Organizzazioni umanitarie, in primis i quaccheri, fornirono materiale didattico e fecero pressione sui comandanti dei campi affinché destinassero alcune baracche ad aule e biblioteche.
Oltre ad insegnare le lingue, la storia, la letteratura, il disegno e la matematica, una particolare attenzione fu prestata per le materie pratiche volte a far apprendere un mestiere a manovali e braccianti.
Appositi bollettini mensili riportavano le attività svolte ed il numero dei partecipanti, furono anche favorite le manifestazioni sportive e culturali e in particolare quelle artistiche.
A proposito di queste, fu un fiorire di mostre di pittura nelle città dove erano situati i campi e diversi artisti spagnoli ebbero modo di farsi conoscere e vendere le loro opere.
Questi vernissages suscitarono l'indignazione della stampa borghese, che condusse una campagna in difesa degli artisti nazionali: "Il pane di Francia per i lavoratori francesi!".
Con i miglioramenti anche la politica riprese vitalità e riaffiorarono, mai sopite, le divergenze che tanto danno avevavo arrecato alla causa della Repubblica spagnola. Tutto cominciò con il tentativo da parte delle diverse fazioni di porre loro uomini alla direzione interna degli ilot, il che permetteva tra l'altro di controllare la posta e la distribuzione dei giornali nonché di assegnare le corvée.
Per ottenere ciò si giunse a formulare false accuse nei confronti degli avversari politici, così da indurre le autorità francesi a trasferirli. Tali fatti crearono delle tensioni che sfociarono in scontri, da cui l'intervento dei sorveglianti, che non andarono tanto per il sottile ed imprigionarono al forte di Collioure, carcere di massima sicurezza, "le teste calde".
Attraverso i giornali, pubblicati dagli internati con mezzi di fortuna, talvolta manoscritti, come la "Voz de los Españoles" (comunista) e il "Buletin de los antifascistas descontentos de los campo internacionales" (anarchico), si rinnovarono le vecchie diatribe ideologiche, che li avevano divisi in Spagna, quando la parola d'ordine dei primi era "vincere la guerra per fare la rivoluzione", mentre per i secondi si doveva "fare la rivoluzione per vincere la guerra".
Anche le due anime dell'anarchismo, i puri, negatori di ogni forma di Stato, ed i cosiddetti trientistas, favorevoli alla collaborazione con il governo, rivisitarono criticamente gli avvenimenti: il sostegno elettorale al Fronte popolare nelle votazioni del 16 febbraio 1936; la partecipazione al governo della Repubblica (spagnola e catalana); l'accorpamento delle milizie della Federación anárquica ibérica (Fai) e Confederación nacional de trabajo (Cnt) nell'esercito repubblicano; le tragiche giornate di maggio 1937 a Barcellona e dell'estate in Aragona e Castiglia.
All'ingresso in Francia i rifugiati politicamente più impegnati erano stati divisi dagli altri e, in base all'ideologia, inviati in luoghi più facilmente controllabili e soggetti ad una disciplina più dura. In un primo tempo, ad esempio, gli anarchici furono mandati a Vernet d'Ariège, i membri delle brigate internazionali a Gurs, i comunisti e le donne a Rieucros; in seguito queste distinzioni vennero meno e les hommes d'action dangereux si ritrovarono dietro gli stessi reticolati o furono spediti nei più terribili campi dell'Africa del Nord.
I campi disciplinari furono un'altra pagina amara dell'esilio spagnolo: il forte di Collioure, vecchio castello dei templari, adibito a carcere di quanti avevano tentato la fuga dai campi di internamento o si erano macchiati di qualche colpa grave (furto, rissa, resistenza alle guardie, ecc.); il campo di Vernet d'Ariège, ex campo di prigionia della prima guerra mondiale, in cui furono rinchiusi prima gli elementi di spicco anarchici, poi, con la firma del patto russo-tedesco, i comunisti prelevati dai campi o arrestati in Francia tra i fuoriusciti italiani, tedeschi ed austriaci; i campi dell'Africa del Nord, dove vennero internati parte dei profughi provenienti dalle ultime province cadute in mano ai franchisti e in seguito, specie sotto il governo di Vichy, gli elementi più turbolenti, che avevano sobillato ribellioni o anche semplici proteste per il trattamento loro riservato. Tristemente famoso fu il campo di Dijelfa.

Vigilia di guerra

Come apparve evidente che la maggioranza dei profughi non aveva intenzione di rientrare in Spagna, atterriti dalle notizie del sanguinoso regolamento dei conti messo in atto dai franchisti, le autorità centrali francesi dovettero rivedere la loro politica anche alla luce dell'aggravarsi della situazione di quella internazionale, per cui, pur senza archiviare la priorità del rimpatrio, cercarono soluzioni alternative al gravoso problema, quali: l'impiego in opere utili alla comunità, l'arruolamento nella Legione straniera, l'emigrazione verso stati del Centro-Sud America.
La situazione politica europea, mentre si concludeva l'esperienza democratica spagnola, fu scossa nel marzo 1939 dall'occupazione della Cecoslovacchia da parte della Wehrmacht in palese violazione del trattato di Monaco, ed in maggio dalla firma del Patto d'acciaio tra Hitler e Mussolini, il che aumentava i timori di guerra, anche perché il dittatore italiano aveva iniziato una campagna propagandistica rivendicante il possesso di Nizza, della Corsica, della Savoia, della Tunisia e di Gibuti, tutti territori francesi o soggetti alla sovranità d'oltralpe.
La popolazione dei campi veniva a rappresentare, in vista di una mobilitazione generale dei francesi, una riserva di manodopera produttiva a basso costo da impiegare in opere pubbliche o nel lavoro dei campi, nell'industria bellica, se specializzati, nel completamento delle fortificazioni della linea Maginot nel Nord della Francia.
Basandosi sulla schedatura degli uomini validi internati nei campi fatta dal Servicio de emigracion de los republicanos españoles (Sere) nella prospettiva di un'eventuale emigrazione1, il Ministero del Lavoro nominò delle commissioni comprendenti il prefetto, l'ispettore del lavoro, il direttore dell'Ufficio di collocamento ed il direttore dei Lavori agricoli con il compito di costituire delle Compagnies des travailleurs étrangers (Cte).
Ne furono organizzate duecentoventi, ognuna composta da circa duecentocinquanta uomini agli ordini di un ufficiale francese, assistito da un pari grado spagnolo, sotto la sorveglianza di un plotone di soldati.
La maggior parte venne impiegata nel completamento della linea Maginot, che avrebbe dovuto difendere la frontiera francese con la Germania, le altre (costituite dagli elementi considerati pericolosi) vennero utilizzate in località impervie per lavori faticosi, quali la costruzione di centrali idroelettriche in zone di montagna. Queste ultime erano sottoposte alla disciplina militare sempre beceramente dura. Tali inumani trattamenti in alcuni casi sfociarono in aperte rivolte, che indussero le autorità centrali ad intervenire per migliorare le condizioni di vita.
Rimasero esclusi quanti già impiegati singolarmente o in piccoli gruppi in industrie o in aziende agricole e furono quelli che di massima ricevettero il trattamento migliore.
L'impiego a scopi militari migliorò la situazione generale dei rifugiati che ottennero la stessa paga dei soldati francesi (5 franchi al giorno), un aumento delle razioni alimentari e soprattutto la concessione del diritto di asilo.
Fu inoltre favorita la ricongiunzione con i familiari di modo che fossero gli esuli con la loro paga a mantenerli, liberando così lo Stato francese da un gravoso impegno.
I campi di internamento vennero via via smantellati eccetto quelli destinati ad accogliere i mutilati, non utilizzabili per lo sforzo bellico, e quelli disciplinari, dove continuarono ad essere rinchiusi i comunisti, ex membri della brigate internazionali o fuorusciti europei rastrellati in Francia dopo il patto di non aggressione russo-tedesco dell'agosto 1939.

Emigrazione

Mentre l'Europa stava per essere sconvolta da un nuovo conflitto, diversi stati sudamericani, in particolare il Messico, si dichiararono disposti ad accogliere un certo numero di rifugiati e furono attivati due comitati di sostegno: il Sere, Servicio de emigracion de los republicanos españoles, e la Jare, Junta de auxilio a los republicanos españoles, divisi tra loro da contrasti ideologici ed economici.
Il primo, che favoriva i comunisti ed i seguaci di Negrín, vide drasticamente ridimensionata la sua operatività, per cessarla del tutto nel marzo 1940 con il citato patto russo-tedesco, che creò in Francia la psicosi della quinta colonna. La Jare continuò fino al 1942, quando, per intervento delle autorità tedesche di occupazione, ogni partenza venne vietata.
Si calcola che partirono circa cinquantamila rifugiati, di cui il 60 per cento verso il Messico; tra questi molti uomini di scienza, che contribuirono allo sviluppo culturale dei paesi ospitanti, dove crearono corsi universitari, centri di ricerca, attività industriali pubbliche e private, favorirono la nascita di giornali e riviste nonché di iniziative teatrali e cinematografiche. I più noti furono Rafael Alberti, Max Aub e Pablo Casals.
Importante fu la pubblicazione di studi storici e memorie sulla recente guerra civile perché questi testi, introdotti clandestinamente nella Spagna franchista, si contrapposero alla letteratura di regime.

La "drôle de guerre"

All'indomani dello scoppio della guerra furono creati dei "Battaillons de Marche", aggregati alla Legione straniera, in cui la ferma era limitata "alla durata della guerra" invece che ai previsti cinque anni.
Diecimila stranieri risposero al bando e al campo di Les Barcares costituirono il 21o, 22o e 23o reggimento; il primo era costituito da elementi di cinquantasette nazionalità, il secondo era a maggioranza spagnola ed il terzo era composto esclusivamente da spagnoli.
Battaglioni simili furono formati in Nord Africa; di questi l'11o e il 12o raggiunsero quelli in addestramento nel Sud della Francia.
I primi rifugiati ad essere impiegati in operazioni belliche furono quelli inquadrati nella 13a Demi brigade de la légion étrangère (13a Dble), che costituirono parte del corpo di spedizione anglofrancese mandato in Norvegia per contrastare l'occupazione tedesca. I legionari si batterono con molto coraggio, riuscendo ad isolare la città di Narvik, che era l'obiettivo principale della spedizione. L'aggravarsi della situazione militare in Francia indusse lo Stato maggiore a richiamare le truppe, ma per poter effettuare il reimbarco era necessario eliminare i tedeschi che ancora difendevano la città, compito che fu affidato alla Legione. La conquista di Narvik e le operazioni di retroguardia necessarie per resistere ai successivi attacchi tedeschi comportarono ulteriori gravi perdite. Complessivamente nelle operazioni in Norvegia la Legione ebbe centoquaranta morti e/o dispersi e cento feriti su duemilacento uomini.
L'impiego in prima linea dei reggimenti costituiti in Francia coincise con l'offensiva tedesca di primavera, che poneva fine alla drôle de guerre cosicché essi, con quanti arruolati nelle Cte, vennero coinvolti nella disfatta dell'esercito francese e del corpo di spedizione britannico.
Gli spagnoli fatti prigionieri subirono trattamenti diversi dai tedeschi, i soldati furono considerati prigionieri di guerra ed internati in campi di prigionia, mentre ai militarizzati tale qualifica non fu riconosciuta e, considerati come prigionieri politici, vennero internati nei campi di sterminio. È stato accertato che l'8 agosto 1940 giunsero i primi spagnoli al campo di Mauthausen, dove in cinque anni ne sarebbero stati deportati circa dodicimila, di cui l'85 per cento non avrebbe fatto ritorno. Pare che il loro internamento fosse sollecitato dal ministro degli Esteri spagnolo Ramon Serrano Suñer, cognato di Francisco Franco, per colpire i "rossi" che erano sfuggiti alla giustizia franchista.
Con l'armistizio nacque in Francia il regime collaborazionista di Vichy, e i rifugiati vennero nuovamente rinchiusi nei campi per poi essere inquadrati nei Groupements des travailleurs étrangers (Gte), da cui attingere per il lavoro obbligatorio imposto dagli occupanti, specie in lavori sul Vallo atlantico, e poi per la releve, cioè il programmato scambio di tre civili con un prigioniero di guerra francese.
Sotto il governo Pétain si ebbero le ultime partenze per l'America Latina, poi definitivamente bloccate dalle autorità tedesche di occupazione.
Nel campo di Vernet d'Ariège rimasero internati gli elementi ritenuti hommes dangereux; tra gli italiani vi erano: Luigi Longo, Leo Valiani, Giuliano Paietta, Mario Montagnana. Quanti non riuscirono a fuggire vennero in seguito consegnati alle autorità italiane, che di massima li incarcerano nel penitenziario di Ventotene, da cui sarebbero usciti solo dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, per porsi a capo della Resistenza italiana.
Nella parte di Francia da loro occupata i tedeschi si interessarono dei rifugiati spagnoli che furono oggetto di consegne forzate ai franchisti, deportazioni in Germania, impieghi in lavori forzati in Francia o Germania.
Le personalità repubblicane di maggior prestigio consegnate ai franchisti furono: Luis Company, presidente della Generalitat della Catalogna, Julian Zugazagoita, ministro dell'Interno, Juan Peirò, ministro dell'Industria, Cipriano Rivas Cheriff, console a Ginevra e cognato di Manuel Azaña.
Essi vennero condannati a morte e mentre i primi tre furono fucilati, il quarto ebbe la pena commutata in trent'anni di carcere.
Per quanto riguarda le deportazioni nei campi di sterminio nazisti, i rifugiati spagnoli di massima vennero così suddivisi: se refrattari al Service de travail obligateur (Sto), a Mauthausen, che assunse il triste soprannome di "campo degli spagnoli", e se militanti nelle formazioni partigiane, gli uomini a Buchenwald, le donne a Ravensbrück.
Si calcola che furono internati in Germania circa quindicimila spagnoli e solo milleseicento di essi saranno vivi alla fine della guerra.
Molti furono reclutati dall' "Organizzazione Todt" e utilizzati soprattutto nella costruzione del Vallo atlantico o delle basi per sottomarini presso Bordeaux.
I rimpatrii forzati, le deportazioni ed il lavoro forzato spinsero molti alla macchia, favorendo lo sviluppo dei maquis, che avrebbero assunto la massima rilevanza dopo l'attacco della Germania all'Unione Sovietica, nel giugno 1941, con la partecipazione attiva dei comunisti, rimasti fino allora neutrali.

La Resistenza

Gli spagnoli - evasi dal campo di Vernet d'Ariège o réfractaires (renitenti al Sto) - rappresentarono il nucleo più consistente delle formazioni partigiane operanti nel Sud della Francia, costituendo dapprima la 3a brigata "Guerrilleros Españoles", che, ampliati i suoi effettivi e la zona d'azione, divenne il XV corpo "Guerrilleros Españoles", le cui brigate erano dislocate: la 1a e la 3a nell'Ariège, la 2a nell'Haute et Garonne, la 4a nel Tarn et Garonne, la 9a negli Hautes Pyrénées, la 35a nel Gers, assumendo nel maggio del 1944 la denominazione di Agrupación de guerrilleros españoles.
Essi furono protagonisti in diversi dei più importanti fatti della lotta partigiana, tra questi: l'espatrio clandestino in Spagna attraverso i Pirenei di prigionieri alleati o ebrei, il gruppo Francs tireurs partisans - Main d'oeuvre immigrée - di Massik Manouchian, la rivolta del carcere di Eysses a Villeneuve-sur-Lot, la strage di Oradour-sur-Glane, la battaglia di La Madeleine (Gard).
I passeurs d'homme erano gruppi che si incaricarono di far passare in Spagna, attraverso i Pirenei, militari alleati (prigionieri evasi dai campi di prigionia o aviatori di aerei abbattuti) e cittadini ebrei che fuggivano alla deportazione in Germania.
Queste reti, in stretto contatto con i servizi segreti alleati, dovevano sfuggire sia alle guardie di frontiera franco-tedesche sia a quelle spagnole, queste ultime con l'evolversi delle sorti della guerra divennero meno attente e più facilmente corrompibili.
La rete più celebre fu quella che ebbe come capo Francisco Ponzan Vidal, militante anarchico che durante la guerra civile aveva ricoperto incarichi nel Siep (Ufficio informazioni dell'esercito repubblicano) e aveva agito dietro le linee franchiste. In tre anni il suo gruppo riuscì a far passare circa millecinquecento persone di cui settecento aviatori.
Francisco Ponzan Vidal fu catturato dalla polizia francese nel settembre del 1943 e condannato ad otto mesi di carcere nel giugno 1944, poi, malgrado avesse già scontato in anticipo la pena, venne consegnato alla Gestapo. Quando i tedeschi nell'agosto si ritirarono da Tolosa, fu ucciso con altri detenuti politici a Buzet-sur-Tarn.
Il gruppo di Massik Manouchian si era reso responsabile di numerosi attentati a treni e convogli tedeschi in Parigi e dintorni. Una massiccia caccia all'uomo messa in atto dai reparti speciali portò dal novembre 1943 al gennaio 1944 alla cattura di oltre cento resistenti. Mentre le figure di secondo piano vennero immediatamente fucilate o deportate, contro ventitré, ritenuti i capi, fu istruito, con evidenti propositi propagandistici, un pubblico processo per influenzare l'opinione pubblica contro questi "terroristi". Venne affisso in tutta la Francia un manifesto - detto l'affiche rouge - che riproduceva il volto di alcuni di essi e il numero degli attentati e delle vittime che avevano causato. Il processo terminò con la condanna a morte per tutti; ventidue uomini furono fucilati a Mont-Valerian il 21 febbraio 1944, mentre la sola donna del gruppo, Olga Blancic, fu decapitata nel carcere di Stoccarda il 10 maggio.
Louis Aragon ricordò gli "stranieri" del gruppo Manouchian nella poesia "Affiche rouge": "Ventitré stranieri e pertanto fratelli, / Ventitré che volevano vivere e sono morti, / Ventitré che invocavano nel cadere la Francia!".
La rivolta del 19 febbraio 1944 nella Maison centrale de force di Eysses a Villeneuve-sur-Lot rientrò nel piano messo in atto dai maquis per liberare i detenuti politici ed evitarne la fucilazione per rappresaglia o la deportazione.
Ma per un banale contrattempo - un detenuto comune diede l'allarme - l'azione dall'interno fallì ed il massiccio arrivo di milizie petainiste e tedesche impedì ai partigiani appostati all'esterno di intervenire. La repressione fu molto dura: dodici prigionieri ritenuti i capi della rivolta furono immediatamente fucilati mentre altri trentasei vennero deportati a Dachau.
La compagnia del maquis di Rochechouart, composta quasi esclusivamente da anarchici spagnoli al comando di Ramon Vila Capdevila "Raymond", specializzata nella distruzione di ponti con la dinamite, fece saltare ai primi di giugno 1944, nei pressi di Saint-Junien, un treno blindato della Divisione Ss "Das Reich", attentato che determinò la feroce rappresaglia dei nazisti contro la cittadina di Oradour-sur-Glane in cui, oltre alla totale distruzione delle case, vennero massacrati quasi tutti gli abitanti (643 vittime).
Tra i numerosi scontri che videro impegnati i guerriglieri spagnoli e le truppe di occupazione uno dei più importanti fu quello che avvenne a La Madeleine il 23 agosto 1944. Qui la 3a brigata Guerrilleros españoles, agli ordini di Cristino Garcia, bloccò una colonna tedesca di millecinquecento uomini, impegnandola in un combattimento che si protrasse per oltre tre ore. Dopo aver perso più di cento uomini e aver compreso di non aver scampo, il comandante tedesco si suicidò mentre i subalterni si arresero.
Trentaquattro "soldati della notte" rimasero sul terreno e furono tumulati nel cimitero di Albi; sulla lapide che ricorda questi "Enfants morts pour la France" si leggono i nomi di Augustin Garcia, José Férnandez, Francisco Perera e Ramon Porta.
Significativo fu l'apporto alla Resistenza delle donne spagnole, esse furono agenti di collegamento, sabotatrici, "affittacamere", staffette, corrieri per il trasporto di armi e documenti. Molte di loro pagarono con la vita o la deportazione il ruolo di combattenti per la libertà.

Soldati alleati

L'arruolamento dei rifugiati spagnoli nelle Forces françaises libres (Ffl), create da De Gaulle per combattere a fianco degli alleati, avvenne in tempi successivi.
I primi furono centocinquanta legionari della 13a Dble, reduci dalla sfortunata spedizione in Norvegia, acquartierati nel Surrey, che con altri seicentocinquanta commilitoni seguirono il generale, mentre altri centosessanta preferirono arruolarsi nei servizi ausiliari dell'esercito britannico; i restanti cinquecentoquaranta rientrarono in Marocco.
Le campagne della 13a Dble fino alla fine del 1942 furono: la sfortunata spedizione contro Dakar del settembre 1940, quando vennero fermate dalle truppe fedeli al governo di Vichy; la partecipazione alla conquista dell'Eritrea nel febbraio 1941, in cui si distinsero nella presa di Massaua; l'occupazione nel luglio del 1941 dei protettorati francesi del Libano e della Siria, dove incorporò il 6o reggimento di fanteria straniero.
Aggregata alla 1a Brigade française libre, sotto il comando del generale Koenig, partecipò alle seguenti battaglie in Libia: 27 maggio-19 giugno 1942 a Bir-Hakeinm, dove fermò le divisioni corazzate dell'Asse, che tentavano l'accerchiamento delle forze alleate; una volta che queste si attestarono su nuove linee di difesa la 13a Dble ruppe l'accerchiamento e raggiunse le postazioni alleate, lasciando sul terreno milleduecento uomini, tanto che venne riorganizzata in due soli battaglioni. Dal settembre 1942 al maggio 1943 partecipò alle offensive che porteranno le truppe di Montogomery da El Alamein a Tobruk.
Occupata tutta l'Africa del Nord, le forze francesi vennero riorganizzate con la costituzione di due divisioni: la 1a Brigade française libre, agli ordini del generale Koenig, a cui fu aggregata la 13a Dble, e la 2a Divisione blindata, agli ordini del generale Leclerc.
Queste incorporarono militari della Legione straniera e dei battaglioni di fanteria straniera di stanza in Marocco, ex internati dei campi, nonché numerosi disertori del Tercio, tanto che gli spagnoli vennero a costituire circa il quaranta per cento del totale degli effettivi.
La 1a Division française libre partecipò alla campagna d'Italia, dove si spinse fino a Radicofani, quindi, dopo aver liberata la Corsica il 15 agosto 1944, sbarcò in Provenza e liberò Lione, Digione, Colmar e Strasburgo; la fine della guerra la vide attestata nel Cuneese.
La 2a Divisione blindata, che comprendeva circa trecentocinquanta spagnoli, inquadrati nel 3o battaglione motorizzato del Tchad, sbarcò in Normandia tra il 31 luglio ed il 4 agosto 1944 e partecipò alla conquista di Les Mans, di Alençon e di Argentan. Appresa la notizia che Parigi era insorta, il generale Leclerc mandò in avanscoperta la 9a compagnia composta in prevalenza da spagnoli. Il primo carro armato che entrò nella piazza dell'Hotel de Ville si chiamava Guadalajara, seguito da Teruel, Ebro, Madrid...
Gli stessi carri protessero la sfilata della vittoria all'Arco di trionfo del 26 agosto.
Integrata con elementi provenienti dalle Ffi partì per il Nord occupando Augsburg e Monaco. Raggiunse poi Berchtesgaden, il nido d'aquila di Hitler.
Se in larga maggioranza gli spagnoli che presero parte come militari alla seconda guerra mondiale furono incorporati nell'esercito gaullista, molti si arruolarono sotto la bandiera britannica e in numero minore con statunitensi e sovietici. In particolare optarono per gli angloamericani quanti consideravano la Francia corresponsabile della caduta della Repubblica spagnola per la miope applicazione delle norme della "politica di non intervento" e colpevole della disumana accoglienza e sistemazione dei fuggiaschi della Catalogna.
Per primi si arruolarono nell'esercito inglese i legionari reduci dalla Norvegia, che non avevano voluto seguire De Gaulle o ritornare alle caserme africane, ed elementi della 185a Compagnie des travailleurs ètrangers, che, aggregata al corpo di spedizione britannico, da Dunkerque era riuscita a raggiungere l'Inghilterra. Poiché gli stranieri per regolamento non potevano far parte delle unità di combattimento dell'esercito inglese, vennero inquadrati nella Number One Spanish Company del Pionier Corp, adibito a servizi di retrovia. Eseguirono opere di fortificazione della costa sud dell'isola e cooperarono allo sgombero delle macerie delle città bombardate; prepararono strade ed accampamenti per l'organizzazione dello sbarco in Normandia, che raggiunsero nell'agosto 1944, e seguirono l'avanzata delle truppe alleate.
Altre compagnie formate nel Nord Africa furono utilizzate per caricare e scaricare le navi e per sorvegliare depositi e trasporti di materiale o seguirono le truppe alleate nella campagna d'Italia o furono mandate in Scozia a lavorare in polveriere.
Tutti ottennero alla fine della guerra la cittadinanza inglese e poterono farsi raggiungere dalle famiglie rimaste in Francia o in Africa.
Diversi spagnoli fatti prigionieri in Libia vennero trasferiti in un campo di prigionia presso Laterina e qui li sorprese l'armistizio dell'8 settembre 1943; molti fuggirono per raggiungere le linee alleate, altri, fidando in una rapida avanzata degli angloamericani, rimasero nel campo e furono catturati dai tedeschi che li internarono in Germania, considerandoli tuttavia come prigionieri di guerra. Altri ancora si unirono ai partigiani italiani della zona di Arezzo o del monte Amiata.
Va inoltre ricordato l'apporto di centinaia di marinai spagnoli imbarcati su navi inglesi.
Un capitolo a parte è rappresentato da quanti, trovandosi in Russia, si arruolarono nell'Armata rossa e concorsero alla difesa prima e poi al vittorioso contrattacco russo contro gli invasori nazisti. Il più noto fu Ruben Ruiz Ibarruri, figlio della "Pasionaria", caduto sul fronte di Stalingrado ed insignito del titolo di "Eroe dell'Unione Sovietica".
Si ritiene che complessivamente furono coinvolti nella seconda guerra mondiale, come militari o altro, circa cinquantamila spagnoli, pari al 25 per cento degli uomini entrati in Francia nel 1939 in grado di prendere un'arma.
Le perdite, con una certa approssimazione, possono essere così sintetizzate: seimila caduti nell'esercito regolare francese, mille caduti nelle forze britanniche, seicento caduti nelle forze partigiane francesi, diecimila morti nei campi di sterminio.
L'ultimo doloroso capitolo dell'odissea dei profughi della retirada fu la guerriglia in Spagna, la cui azione più eclatante fu l'incursione nella valle d'Aran, che però fu prontamente rintuzzata dalle truppe di Franco. Il resto fu un susseguirsi di azioni di piccole bande dislocate sui Pirenei o nella Sierra Nevada o Morena e nelle Asturie. Secondo una fonte ministeriale spagnola i caduti della Guardia civil e dell'esercito in questa lotta ammontarono a 500 militari e 10 ufficiali. I guerriglieri furono circa quindicimila e compirono 8.275 azioni, subendo 5.548 morti e 634 prigionieri, per la massima parte passati per le armi.
Questa impossibile lotta si esaurì nei primi anni sessanta, poi lentamente l'evolversi degli avvenimenti mondiali fece scendere sulla Spagna una cappa di silenzio, che durò fino alla morte di Franco, avvenuta nel novembre 1975. Negli anni precedenti amnistie via via concesse dal Governo permisero il ritorno in Spagna di parte dei rifugiati, ma diversi di essi ripartirono perché ormai la Spagna aveva perso tutte le caratteristiche di quando si poteva cantare: "Como estaba felix nuestra Revolución!".



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e se non basta
by ibarruti Thursday, Apr. 21, 2005 at 1:06 AM mail:

Dolores Ibarruti

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"El ùnico camino" è il titolo del libro che Dolores scrisse nel 1962 per ricordare le tappe della sua vita. Proponiamo due brani tratti da quell'opera uscita in Italia (Editori Riuniti) col titolo "Memorie di una rivoluzionaria"



Quel 18 luglio del 1936

L'ottimismo di molti dirigenti repubblicani e socialisti che si ostinavano a chiudere gli occhi davanti al pericolo, sostenendo che noi comunisti seminavamo l'allarme con le nostre continue sollecitazioni a prendere le precauzioni necessarie contro un eventuale colpo di forza, era assurdo. (...) Da diversi giorni nelle sedi del partito comunista dei diversi quartieri, e così pure al Comitato centrale, mantenevano una guardia permanente.

La guardia che facevamo a turno ai nostri locali era completata dalla vigilanza stabilita intorno ai centri reazionari dei quartieri e delle abitazioni delle personalità più in vista della destra e degli uomini noti per le loro idee reazionarie. Gli uomini e le donne che formavano le milizie antifasciste si davano il cambio di ora in ora. (...) Passammo molte notti in bianco. Nessuno voleva andare a dormire. E quando in qualche compagno si avvertivano tracce di fatica e gli sì ordinava di andare a riposare, egli si rifiutava fermamente. Non c'era modo di convincere nessuno a ritirarsi nella sua abitazione. (...) E infine la tempesta, che da tanto tempo minacciava, si scatenò. 1118 luglio 1936 la Spagna fu destata di soprassalto.

I primi colpi di cannone dell'insurrezione furono uditi in Marocco. L'eco degli spari si diffuse spaventoso per tutta la Spagna. Di bocca in bocca, di casa in casa, dì strada in strada, veniva dato l'allarme: "Le forze militari distaccate in Marocco si sono sollevate contro la repubblica!". Le scarse ma allarmanti informazioni che attraverso diverse vie arrivano alla conoscenza del popolo spingevano decine di migliaia dì cittadini a scendere nelle strade, nei villaggi e nelle città, in un andito patriottico di conoscere la verità. dì dimostrare di essere disposti ad appoggiare il governo nelle difesa della repubblica.

I dirigenti delle organizzazioni operaie e dei partiti politici, tanto i corrispondenti del Fronte popolare quanto quelli che per diverse ragioni non vi partecipavano, si misero rapidamente d'accordo per prendere le misure necessarie per la gravissima situazione che si era creata con la ribellione dei militari, la cui importanza non poteva essere ignorata da nessuno. Solo il capo del governo repubblicano, il signor Casares Quiroga, avvocato galiziano, di provenienza repubblicana, iscritto al partito della sinistra repubblicana, al quale apparteneva anche il presidente delta repubblica Manuel Azaña, tentò di sminuire l'importanza del movimento sovversivo, considerandolo alla stregua di uno dei tanti pro pronunciamenti militari di qui era stata così prodiga la storia spagnola del secolo XIX, e pertanto, facile da liquidare da parte del governo.
La causa principale dello scoppio della guerra, dal punto di vista interno, aveva la sua radice nell'odio di classe di un'aristocrazia latifondista e di un'oligarchia plutocratica economicamente collegate, che non accettavano nè lo sviluppo democratico del paese né la sia pur minima riduzione dei loro privilegi di classe e di casta. Dal punto di vista esterno, la reazione era stimolata e incoraggiata dall'Italia e dalla Germania, dove i promotori della sollevazione avevano messo a punto i dettagli e ottenuto aiuti che furono concessi senza stiracchiamenti e non disinteressatamente. La situazione strategica della penisola iberica ponte fra l'Europa e l'Africa le sue ricchezze minerali, la sua prossimità al continente americano e la sua influenza fra i paesi dell'America latina valevano bene un appoggio alla reazione spagnola (...).Aerei italiani e tedeschi distrussero Guernica e Nulcs. Cannoni tedeschi facevano saltare le fortificazioni repubblicane della Sierra Pandols e bombardavano Madrid dal Cerro de los Angeles.Forze italiane conquistarono Màlaga; navi da guerra tedesche cannoneggiarono Almeria, aerei tedeschi bombardarono decine di volte Barcellona e Madrid; unità militari italiane furono sconfitte a Guadalajara; camicie nere italiainc accerchiarono gli ultimi resti dell'esercito popolare rifugiato nel porto di Alicante... Queste erano le forze della cosiddetta Spagna nazionalista con le quali dovette scontrarsi e lottare il popolo spagnolo nella sua eroica resistenza dal luglio 1936 al marzo del 1939.

E anche se fin dai primi momenti la disparità dei mezzi e delle forze era sfavorevole al popolo, questo non indugiò certo a contare i nemici, né fu scoraggiato dinnanzi alla loro forza. Accettò la sfida e si gettò nella lotta ineguale. (...)

Le direzioni di tutti i partiti erano riunite nelle rispettive sedi, attente alle notizie e disposte ad agire. Il popolo si preparava alla lotta. Le sedi delle organizzazioni si riempivano di operai, di lavoratori, che volevano indicazioni, che esigevano le armi. Una rappresentanza del Fronte popolare si recò a chiedere al governo di armare le milizie operaie per difendere la repubblica. Casares Quiroga, rispose che non lo credeva opportuno, in quanto il governo era sufficientemente forte per dominare la situazione.

Ma, man mano che le ore passavano, le notizie erano sempre meno tranquillizzanti. Si seppe così che le Canarie e tutti i possedimenti africani erano in mano dei ribelli. Che Valladolid e Valencia si univano al movimento; che Burgos, Avila e la Galizia erano nelle mani degli insorti; che nei quartieri di Madrid e anche a Barcellona accadeva qualcosa di anormale. Allora il governo non poté più resistere e dinanzi alla richiesta delle masse e alla pressione delle organizzazioni del Fronte popolare si vide costretto a consegnare le armi nelle mani dei lavoratori. Il popolo si preparava a difendere la repubblica. (…) Madrid, e con Madrid la Spagna leale, ardeva di febbre. "Armi! Armi!" era il grido del popolo. Camion, camionette, taxi, auto private correvano a velocità suicide, portando i lavoratori armati che abbandonavano il lavoro per impugnare il fucile.

Le notizie che venivano radiodiffuse dal governo e che annunciavano che l'insurrezione era stata soffocata in diversi luoghi erano accolte dalle masse con grande giubilo.


Le brigate internazionali

Madrid sente sul suo viso l'ansimare della fiera che spia, che striscia, che avanza, che vuole, oggi 7 novembre 1936, anniversario della Rivoluzione d'ottobre, assestare un Colpo decisivo alla resistenza popolare.

Con un'avanzata fulminea che le apra il cammino sino al cuore della città e obblighi la Spagna repubblicana a inginocchiarsi, pretende mettere fine alla guerra con la sua vittoria, cancellare dalla coscienza delle masse anche il ricordo della data immortale. In sanguinosi combattimenti i miliziani hanno fatto fallire i primi assalti dei ribelli alla capitale, ma nonostante ciò i fascisti sono riusciti a guadagnare terreno.

Madrid ferita, dissanguata dalla mitraglia, chiude gli ingressi delle sue entrate periferiche con trincee anticarro, con muri improvvisati, con reticolati di filo spinato. L'ululato delle sirene rompe il silenzio della città e avverte la popolazione del pericolo che la sovrasta.

I proiettili dell'artiglieria del Cerno de los Angeles e le bombe dell'aviazione fascista lacerano dall'alto in basso gli edifici più alti; scoppiano dentro di loro, distruggono monumenti secolari e tesori artistici di valore incalcolabile, annientano migliaia di vite. Bombardato e il museo del Prado, incendiato il Palazzo del Duca d'Alba con le sue ricchezze artistiche e storiche conservate con tanto amore dai nostri miliziani. Gli abitanti delle strade battute dall'artiglieria si trasferiscono in luoghi meno pericolosi. La popolazione si concentra nei quartieri ancora non colpiti dai bombardamenti.
Gli altoparlanti del V° Reggimento danno, a intervalli, istruzioni per evitare rischi inutili. Preparano i madrileni, li abituano all'idea del nuovo attacco nemico, che i fascisti visibilmente organizzano e che è necessario respingere. Madrid non è già più la città libera e aperta di ieri. Oggi è una fortezza assediata. Verso il levante ospitale sono stati evacuati i bambini, gli infermi e i vecchi.

Gli uomini e le donne che restano nella capitale sono disposti a rinnovare la sua storia gloriosa, a difendere la loro bella città, pietra per pietra, casa per casa, strada per strada.

L'imminenza dell'attacco nemico tiene la popolazione all'erta e preparata. Si fanno calcoli si misurano le possibilità. Le ore passano e la tensione si fa insopportabile.

Coi pugni stretti, con l'orecchio attento e lo sguardo fisso, lì, dove il nemico pondera e cerca un punto debole dove irrompere, per lanciare all'assalto le sue orde, i madrileni aspettano...

Aspettano... Nel silenzio impregnato di minacce, di pericoli, di sorprese sanguinose, comincia a udirsi un rumore ritmico, che scuote, di passi decisi, che cresce, che si approssima.. Si ode ora distintamente il rumore delle scarpe ferrate sul pavimento delle strade.
C'è un momento di stupore, di indecisione. Chi viene? Chi sono quelli che si avvicinano? Chi sono gli uomini che il 7 novembre 1936 marciano per le strade della nostra Madrid, muti, alteri, severi, col fucile in spalla e la baionetta innestata, facendo tremare il suolo sotto i loro piedi?

Dietro le finestre socchiuse, sguardi febbrili seguono il cammino di coloro che avanzano, mentre le mani si serrano sulle armi, sulle bombe pronte per essere lanciate. Le donne disperate dicono agli uomini: "Sono entrati!...Che aspettiamo?...".

Sì ode un ordine, una voce di comando in una lingua straniera, che spazza come una frusta l'aria della strada. le prime strofe di un inno vicino e caro accompagna il ritmico movimento degli sconosciuti. L'aria si riempie di suoni e di parole vibranti, solenni, che fanno fremere i madrileni. "Dio mio! Non è un sogno, questo?" - si chiedono le donne con parole in cui tremano i singhiozzi.

Gli uomini che sfilano per le strade di Madrid assediata, cantano l'Internazionale in francese, in italiano, in tedesco in polacco, in ungherese, in romeno!

Sono i volontari delle Brigate internazionali, che all'appello dell'Internazionale comunista sono venuti nel nostro paese per lottare e forse morire insieme con noi.

Il popolo madrileno si lancia per la strada incontro a coloro che sa suoi amici. E uomini e donne, in un impulso incontenibile e commosso, abbracciano piangendo i combattenti delle brigate internazionali...

La formazione è stata spezzata. Tutti voglion salutare con ciò che hanno di meglio gli "internazionali". Ogni madrileno vuoi portare a casa sua qualcuno di quegli uomini, o tutti. Ci sì è dimenticati che il nemico spia, si è dimenticato il pericolo... E improvvisamente... Superando le grida e le esclamazioni di gioia e di entusiasmo che riempiono le strade, un rombo di motori incomincia a roteare per i cieli, si approssima a Madrid.

C'è un istante di panico nella gente che si è precipitata nelle strade incontro agli "internazionali".

"L'aviazione! L'aviazione!" gridano. Alcuni punti neri che crescono, che si profilano, che si approssimano volando basso. Non son gli essers, non sono i Savoia. Aerei sconosciuti hanno fatto irruzione nel nostro spazio aereo, vengono verso di noi... E non mitragliano. E non lanciano bombe... Che vuol dire, questo?

Una squadriglia di I-15 e di I-16 che più tardi il popolo chiamerà affettuosamente "rincagnati" e "mosche", vola rapida, incrociando nel ciclo di Madrid, quasi a guardia della città, e saluta la popolazione profondamente impressionata.

Sulle ali degli aerei che si abbassano in segno di omaggio ai combattenti sta la bandiera repubblicana.

Il momento è indescrivibile. Un grido immenso di gioia, di entusiasmo, di sollievo, uscito da migliaia di gole sale dalla terra al cielo, accoglie e accompagna l'apparizione dei primi aerei sovietici nel cielo della nostra patria, sentinelle vigilanti che impediscono al nemico di avvicinarsi.

"Sono aerei sovietici! Sono nostri... nostri! Nostri!".

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