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I padroni dei media
by IMC Italy Wednesday, Mar. 20, 2002 at 10:26 PM mail: italy@indymedia.org

Di William F.Baker, da Washington Post 12 marzo 2002

La recente decisione della corte federale a Washington di ampliare le
limitazioni alla proprietà delle televisioni, è stata apprezzata dai
network e condannata dai consumatori. Ancora una volta nel mai terminato
dibattito sulla deregulation nei media, sono stati tracciati dei condini
tra potere corporativo e interessi publici. E ancora una volta gli
interessi pubblici sono risultati perdenti.


Il telecommunication act del 1996 è stato messo a punto per diventare un
mezzo tramite il quale le compagnie che proucono media potevano restare
comptetitive nella nuova economia mutltimedia, dominata dai grandi
conglomerati. Ma se l’atto del 1996 ha incoragiato la competititività
economica nell’industria, ha chiaramente soffocato la competizione sul
mercato delle idee, riducendo il numero dei proprietari e in questo modo
consolidando, centralizzando e omogeneizzando quelle che prima erano voci
diverse.


Gli effetti più drammatici si sono verificati nell’industria radiofonica,
che non nel 1966 era per nulla deregolata. Fino ad allora c’erano più di 10
mila stazioni radio le cui transazioni valevano più di 100 miliardi di
dollari. Adesso ci sono circa 1100 proprietari in meno,con un declino di
circa il 30 per cento in sei anni.


Il risultato è che più della metà del mercato, l’80 per cento dell’audience
è controllata da tre grandi compagnie. Oggi, che anche quello che restava
della vecchia regolazione delle televisioni antecedente al 1966 è andata
definitivamente dissolta, la conclusione ovvia è una nuova ondata di
fusioni questa volta tra network televisivi e televisioni locali.


Dal punto di vista della competizione economica, l’allentamento dei limiti
di proprietà e l’aumento di proprietà incrociate nei media, sono positivi e
creano opportunità di crescita e di profitti. Se le corporazioni
imparentate aumentano il controllo non solo sui contenuti dei mass media
(televisioni, cinema, quotidiani, giornali, libri) ma anche sulla
distribuzione dei contenuti (networks, cavi, satelliti e sistemi
telefonici), essi conquistano un volano finanziario, aumentano gli introiti
ed espandono il controllo oltre le loro proprietà, monetizzandoli dalla
creazione al recupero finale.


Ma i ritorni economici delle corporazioni dei media arrivano sotto forma di
penalizzazione dell’accesso publico a un fiorente mercato delle idee.
Prendete l’esempio dei notiziari televisivi. Per aumentare i margini di
interesse, i giganti dei media stanno riducendo le redazioni e gli staff, e
producono con lo stesso ufficio notiziari multipli che vengono trasmessi su
differenti stazioni.


E mentre i programmi di news commerciali (infilati da compagnie di
produzione di spettacolo, i cui obbiettivi sono quelli di procurare svago e
attirare guadagni) cercanodi attirare il pubblico che ha centinaia di
canali tra i quali può scegliere, la qualità giornalistica è calata, e i
giornalisti stanno convertendosi verso il sensazionalismo, lo scandalo e la
eccessiva semplificazione per cercare di aumentare gli share e il flusso di
denaro.


Le notizie internazionali in particolare, sono state in prima linea nella
guerra delle fusioni. Uno studio dello Shorenstein Center di Harward ha
dimostrato che il tempo delle news televisive dedicato alle notizie
internazionali è caduto dal 45 per cento negli anni 70 a meno del 14 per
cento nel 1995. E’ dunque una sorpresa se così tanti americani capiscono
così poco di quanto è successo l’11 settembre?


Alcune industrie prosperano con poca o nessuna sorveglianza. Ma i media
sono una eccezione. Le televisioni rimangono il mezzo più potente per le
notizie, l’informazione, la consapevoleza culturle e la circolazione delle
idee. Visto che abbiamo combattuto battaglie per preservare la vitalità
della libera espressione, così dobbiamo difendere l’integrità e l’pertura
dei media attraverso i quali manifestiamo questa espressione. Per fare ciò,
dobbiamo cercare una guida e una visione che sia rappresentativa non
esclusivamente degli interessi corporativi, o della legge della domanda e
dell’offerta, ma degli individui e della società americana nel suo complesso.


La Corte ha lasciato che la Federal communication commission (Fcc)
giustificasse l’eliminazione del blocco del 35 per cento nella proprietà
delle stazioni nazionali (ovvero la regola che preveniva il fatto che una
compagnia acquistasse altre stazioni Tv se quelle già di sua proprietà
coprivano il 35 per cento della audience nazionale). Il diretore della Fcc
Michael Powell ha messo in chiaro che lui non è interessato a mantenere i
limiti della proprietà sotto le restrizioni delle leggi anti trust che
governano altre industrie. E adesso tocca al Congresso prendere una
decisione e tenendo publiche consultazioni con un occhio aperto alla
protezione della qualità e diversità dei media americani attraverso la legge.


La deregulation sta concentrando i poteri, riducendo le opportunità e
abbassando la qualità, mettendo un freno al contenuto. Per trattare la
televisione come una merce, dobbiamo condividere la filosofia di un
precedente direttore dell’Fcc che ha detto: la televisione è un tostapane
con le figure.


Questa dichiarazione tornerà per infastidirci. Come i nostri parchi
nazionali, le onde elettromagnetiche sono un bene nazionale. Lasciati senza
protezione, i nostri parchi saranno presto deforestati. Senza una
regolamentazione, le onde verranno soffocate.


William Baker è presidente del Thirteen/Wnet New York, la più grande Pbs
(Public broadcasting station), e co autore di “Down the tube: An inside
account of the failure of American television”.

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